Gentili colleghi,
vi ringrazio per aver manifestato pubblicamente il vostro pensiero perché mi date la possibilità di rispondere mettendo in evidenza il punto di vista di chi è impegnato a cercare di tutelare la categoria, nonostante la scarsa collaborazione dei colleghi.
Questo tipo di attività è fortemente impegnativa perché svolta dopo aver assolto le classiche incombenze lavorative che, come sa chi svolge la nostra attività, non si esauriscono nelle tradizionali otto ore. Impegnarsi nelle attività associative vuol dire quindi sacrificare ad una visione ideale il poco tempo che ci rimane a disposizione. Sapendo inoltre di poter contare sulla collaborazione attiva soltanto di pochi altri colleghi tra gli associati, ed avendo pochi mezzi a disposizione.
Le controparti, invece, sono formidabili macchina da guerra, molto bene organizzate e perfettamente inserite nei gangli vitali della società. In tempi recenti questo viene tra l’altro dimostrato dalle profonde modifiche apportate alle leggi sul lavoro, tutte a vantaggio della parte del più forte, e dalla distrazione (o connivenza?) di altre organizzazioni di tutela dei lavoratori. Il nostro CCNL lo evidenzia ampiamente laddove (è solo un esempio tra i tanti che potrei fare) considera gli Informatori Scientifici, assunti come impiegati, “assimilati“ ai dirigenti permettendo alle aziende di imporre loro formidabili ritmi di lavoro senza per ciò essere gravate da ulteriori spese. Ai dirigenti, infatti, non si paga lo straordinario.
Anche i rapporti basati sulle provvigioni meritano ulteriori approfondimenti perché persino l’Enasarco riconosce che, vista la legislazione attuale, l’informatore non può essere considerato un agente di vendita.
A mio avviso, per poter fronteggiare validamente questo stato di cose, gli Isf dovrebbero capire l’importanza di opporre un fronte comune agli interlocutori; purtroppo, però, solo pochi hanno scelto di appoggiare l’attività associativa della categoria, privando così la stessa della necessaria rappresentatività.
Mi rendo conto che chi svolge la nostra attività è il risultato di un’attenta selezione operata dalle aziende, che ostacolano in tutti i modi l’idea che i propri dipendenti possano organizzarsi in forme associative autonome. Anche i rapporti di lavoro basati sulle provvigioni, o il conseguimento di gratifiche economiche legate al risultato delle vendite contribuiscono a ridurre l’“appeal” delle organizzazioni degli informatori, pertanto non mi stupisco se tra gli stessi informatori qualcuno si chieda cosa l’associazionismo abbia fatto per lui.
Io chiedo, invece, cosa abbiano fatto per sé stessi i col