Refusi e abbagli della commissione medica della Cecchignola di Roma nel valutare i risarcimenti. A Latina il caso di una donna che per 16 anni ha contagiato decine di pazienti. Dagli archivi del processo di Trento spuntano anche i trial clinici sugli umani, tra cui un 12enne
di Thomas Mackinson | 26 febbraio 2013 |
A volte basta un refuso per riaprire il doloroso capitolo del sangue infetto. Prendere albumina per immunoglobulina, scambiare proteina e anticorpo. Altre volte solo l’ostinazione disperata della vittima riesce a farsi largo tra le omissioni del burocrate di turno, la negligenza dei medici e l’indifferenza dello Stato. Per poi scoprire in giudizio – a distanza di vent’anni – che chi ti ha infettato ha continuato a donare sangue, nello stesso ospedale, per i successivi 16 anni, seminando una scia di vittime senza fine. E’ appena successo a Latina. Lo scandalo del sangue infetto continua a riversare casi di errori clinici gravissimi, storie di orrori umani senza giustizia che vanno ad affollare il pianerottolo d’inferno su cui già decine di migliaia di persone stazionano in balia della malattia e in attesa di un indennizzo promesso che non arriva mai. E mentre il processo ai responsabili del più grande scandalo italiano è al palo e rischia la prescrizione, da migliaia di cartelle cliniche depositate agli atti e ancora sigillate emergono nuovi casi di persone infettate e lasciate sole nella loro partita tra vita e morte.
Spuntano anche le prove di test di inattivazione virale condotte dalle case farmaceutiche direttamente sulle persone, laddove si riteneva venissero praticati solo su animali. E invece nel trial clinici c’erano anche bambini, del tutto ignari, poi risultati infetti a distanza di settime o anni. I loro casi si aggiungono alle migliaia di storie dai tratti kafkiani che passano per il contagio rimosso e per il calvario di chi cerca giustizia da una posizione sempre minoritari