Agli industriali del farmaco non piace neanche il nuovo emendamento del Senato sulle prescrizioni per principio attivo. “Ma la nostra non è guerra al generico. E’ contrarietà a norme che favoriscono di fatto chi non investe in ricerca e può permettersi sconti ai farmacisti per noi impossibili”. Serve un nuovo Patto triennale.
04 DIC – “L’emendamento approvato dalla Commissione Industria del Senato sulla prescrizione dei generici non cambia nulla. Restiamo fortemente contrari a una norma che ha di fatto distorto il mercato favorendo non il generico ma le imprese che lo producono, in modo inaccettabile”. Sarà stata una coincidenza ma il briefing con la stampa promosso dai vertici di Farmindustria questa mattina per parlare di innovazione e valorizzazione del marchio, alla fine si è incentrato ancora una volta sulla querelle tra industrie branded e aziende no branded.
Motivo del contendere è così nuovamente quella norma inserita nella spending review che prevede l’obbligo di indicare il principio attivo nella ricetta. E il fatto che al medico sia data comunque la possibilità di indicare anche il nome della specialità medicinale branded non basta a Farmindustria.
“La norma, e l’emendamento del Senato non cambia nulla – dicono in Farmindustria – ha creato una vera distorsione nella concorrenza offrendo alle aziende che producono solo generici una carta in più da spendere con le farmacie, offrendo prezzi di acquisto alla distribuzione che noi non potremo mai permetterci perché abbiamo costi generali molto più alti di loro”.
“Fare del farmacista l’ultimo decisore su quale prodotto equivalente offrire al cittadino sposta tutti gli equilibri commerciali a favore dei produttori di generici", ci dicono a briefing concluso alcuni industriali. "E così – sottolinea Lucia Aleotti della Menarini che ha confermato come a seguito di questa situazione siano a rischio 1.000 posti di lavoro nei suoi stabilimenti – succede che i nostri prodotti a brevetto scaduto, pur essendo venduti al prezzo di riferimento, non vengono ‘scelti’ dal farmacista perché