ROMA – Messi in campo gli schieramenti, la guerra del farmaco griffato è cominciata. Oggi va in aula in Senato il provvedimento introdotto nella spending reviewe votato nella notte tra venerdì e sabato in commissione Bilancio che prevede una stretta sui farmaci di marca. Sul maxi emendamento verrà posta la fiducia e poi il testo passerà alla Camera. In sostanza il medico che prescrive per la prima volta un farmaco a un malato cronico sarà obbligato a indicare quello generico anziché quello branded; l’eventuale medicinale specifico dovrà essere giustificato dal dottore con motivazione scritta.
Ieri a sostenere l’appello rivolto dall’industria farmaceutica al presidente del Senato, al governo e alle forze politiche per «riconsiderare e accantonare questa misura» è scesa in campo Confindustria, sostenendo che «l’introduzione dell’obbligo per il medico di prescrivere il solo principio attivo non si giustifica in termini di riduzione della spesa pubblica, in quanto il Servizio sanitario già oggi rimborsa la spesa del farmaco nei limiti di quello equivalente a minor prezzo. Al contrario, quest’obbligo è suscettibile di danneggiare ulteriormente l’industria farmaceutica in Italia, già duramente colpita».
Il settore farmaceutico, continua viale dell’Astronomia, «rappresenta una componente rilevante dell’industria italiana: conta 65.000 occupati e esporta il 65% della propria produzione». E ancora «il marchio di un farmaco concorre a tutelare il risultato di un oneroso percorso di ricerca, sperimentazione, autorizzazione, promozione scientifica ed è garanzia di qualità e correttezza del prodotto».
Ma la levata di scudi arriva soprattutto dai medici. «Questo provvedimento stupisce – afferma Pierluigi Bartoletti, segretario regionale del Lazio della Fimmg, la Federazione italiana dei medici di medicina generale – non ho nulla contro il farmaco equivalente, ma questo assomiglia quasi a un farmaco di Stato. Che rischia di creare una serie di problemi, e soprattutto di far ricadere la scelta solo sui cittadini o sui farmacisti. Faccio un esempio: oggi viene da me un paziente con colesterolo alto e io gli prescrivo il Torvast, lui va dal farmacista che è tenuto a dirgli che il generico con il principio attivo costa 40 centesimi in meno e lui può scegliere. Domani invece io sarò obbligato a prescrivere solo l’atorvastatina o dovrò motivare una scelta diversa. Insomma per fare il mio lavoro mi dovrò giustificare, avrò una responsabilità in più e soprattutto perderò il controllo della cura, essendoci una tolleranza in più o in meno del 20 per cento nell’azione farmacologica del generico rispetto al branded. Insomma, ritengo il generico una risorsa per il sistema pubblico ma contesto il metodo utilizzato».
Ancora più duro Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria: «Mi auguro che ci sia la volontà di porre rimedio a questa norma inserita alle 4 di notte senza riflettere sulle conseguenze che avrebbe potuto avere. Innanzitutto non è da spending review perché non fa risparmiare un euro allo Stato. Al contrario è una norma ideologica contro i brand che ha tre gravi conseguenze: destruttura il Paese, fa chiudere le fabbriche e mette in strada i lavoratori. Il settore ha 65mila dipendenti e 63mila nell’indotto, ma se cominceremo a comprare i generici in India o in Cina… Oltretutto l’88 per cento dei farmaci è a brevetto scadu