A curare sono i principi attivi, non il marchio. Eppure sui “generici” la diffidenza resta
di Elisabetta Muritti
In un panorama editoriale dove lo scandalo farmacologico appassiona quanto lo spionaggio (vedi Bad Pharma, del giornalista Ben Goldacre, in italianoEffetti collaterali, Mondadori), va detto che Médicament génériques. La grande arnaque (Ed. du Moment), di Sauveur Boukris, polemico medico di base francese, ha il pregio di individuare un problema che tocca l’Italia in modo particolare: la prescrizione di farmaci “generici”, appunto, o meglio equivalenti, come preferisce chi teme la deriva “sciatta” della traduzione da generic. Puntualizza Silvio Garattini, fondatore e direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri: «Parlare di “farmaci generici” è equivoco, dà un’impressione di per sé negativa. Come tutto ciò che è generico. È giusto dire “farmaci dal nome generico”, cioè che utilizzano un nome generico, stabilito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, anziché chimico (troppo complicato) o di fantasia (di proprietà industriale). Del resto, all’Università i futuri medici imparano la farmacologia attraverso i nomi generici, non certo quelli di fantasia». Insomma, studiano gli effetti dell’acido acetilsalicilico, non dell’acido 2-acetossibenzoico o dell’Aspirina. Ma comunque lo si voglia chiamare, un farmaco generico è la “copia” di un cosiddetto medicinale griffato (torniamo all’Aspirina, della Bayer), inteso come suo prodotto di riferimento. Deve rispondere a certi requisiti: medesimo principio attivo, cioè stessa sostanza terapeutica; principio attivo non più protetto dal brevetto (l’esclusiva sul mercato “rimborsa” per un certo numero di anni le spese sostenute da un’industria per inventare e testare un medicinale); analoga forma di somministrazione (le capsule devono “copiare” le capsule… ); stesso dosaggio unitario; bioequivalenza al medicinale di riferimento (cioè capacità di rilasciare, con stessa modalità, frequenza, concentrazione, lo stesso principio attivo). E costo almeno del 20% più basso rispetto al farmaco di marca: con questo arriviamo al cuore del business, e di un concentrato di interessi contrapposti.
I generici, che noi italiani conosciamo da fine anni 90, circa 30 di ritardo risp