N.d.R.: Molti fra gli ISF sono laureati in farmacia, riportiamo pertanto l’articolo sottostante pubblicato su “Farmacie.blog” a cui potrebbero essere interessati anche se è di interesse generale se la farmacia è da considerare una struttura sanitaria o commerciale. Su questo argomento è intervenuto anche il Prof. Livio Garattini con un articolo su Quotidiano sanità “Farmacie di comunità, il labile confine fra commercio e sanità“. Ovviamente qualsiasi opinione, consiglio, comunicato o altre informazioni espresse o rese disponibili da terzi non è attribuibile né è necessariamente condivisa da Fedaiisf bensì ai rispettivi autori.
Ma non è un contratto sanitario….
Disclaimer: per prevenire equivoci, il presente articolo e le opinioni in esso espresse sono una responsabilità che ci prendiamo come Redazione di Farmacie.blog, come contributo informativo ai colleghi che vogliono capirne di più per orientarsi nella discussione che in questi giorni ferve nei farmagruppi social, senza che questo rappresenti in alcun modo un posizionamento politico o un intervento nel dibattito attribuibile al sindacato di cui facciamo (sempre orgogliosamente) parte.
“Se non è il contratto sanitario non lo vogliamo” vediamo scritto su FB in questi giorni da parte di alcuni colleghi, e considerato il percorso tra tavolo di trattativa, le lettere ai Ministri della Salute e del Lavoro, le assemblee sindacali pubbliche online dopo cena, e le piazze torride di fine giugno (in cui c’eravamo noi che crediamo nella rappresentanza dei sindacati confederali a esporci) per strappare a Federfarma i punti di avanzamento che noi vediamo in questo rinnovo, ci sentiamo di dare un contributo di approfondimento che aiuti a chiarire un paio di punti che troppo spesso vediamo confusi ad arte, forse solo per superficialità o per la completa inesperienza nella contrattazione.
Il contesto normativo La legge sulla farmacia dei servizi, datata 2010, ha aperto molte possibilità a prestazioni sanitarie di prima istanza in farmacia, l’autoanalisi, la telemedicina, e durante la pandemia nell’emergenza sanitaria le nostre mansioni professionali sono state via via ampliate con interventi normativi successivi, dall’autoanalisi che non è più autoanalisi prevedendo ora un ruolo attivo del farmacista, ai prelievi coi tamponi nasali, all’inoculo dei vaccini anti Covid. La dispensazione del farmaco era già comunque un atto sanitario (vedi Codice Deontologico), così come il farmacista era già riconosciuto dalla legge a tutti gli effetti come professionista sanitario. Il tema che alcuni ora portano avanti è “il passaggio dal contratto del commercio a quello della sanità”, facendolo sembrare una faccenda molto semplice, che non si verifica per una presunta mancanza di volontà della rappresentanza sindacale confederale dei collaboratori.
La farmacia eroga il servizio essenziale della dispensazione dei farmaci sul territorio, in Convenzione (scaduta da anni) con il SSN, ma la sua classificazione Ateco come attività economica è 47.73.10, “commercio al dettaglio di medicinali in esercizi specializzati”. Il farmacista dunque è un professionista sanitario che lavora in un negozio, per quanto specializzato, e manca un riferimento giuridico che classifichi la farmacia come struttura pienamente sanitaria. Il quadro normativo non è a disposizione delle parti al tavolo contrattuale. Il contratto comunque non è, non è mai stato e non sarà stavolta il “contratto del commercio”, è sempre e solo il contratto delle farmacie, che descrive pienamente queste strutture e chi ci lavora dentro, con un sindacato datoriale che rappresenta solo titolari di farmacie. Lo CNEL lo classifica tra i contratti del commercio solo per la classificazione Ateco del luogo di lavoro farmacia. Se l’evoluzione della farmacia italiana nei prossimi anni confermerà il ruolo strategico che le farmacie e i farmacisti hanno avuto nell’assistenza sanitaria sul territorio nel corso della pandemia, può darsi che il cambiamento di classificazione della farmacia sia alla portata, e di lì potrebbe discendere il cambiamento di classificazione del contratto di lavoro. Al momento comunque nessuna forza politica propone o porta avanti un cambiamento del quadro normativo in questa direzione.
La sanità, ma quale? Nell’ipotesi in cui la farmacia venisse classificata come struttura pienamente sanitaria, sarebbe comunque una struttura erogatrice di servizi, come sono già adesso gli studi medici, le cliniche odontoiatriche, i laboratori di analisi (tutti codici Ateco che iniziano con 86., il codice delle strutture sanitarie), e non una struttura con ricoveri (anche se qualcuno ci scherza, ogni volta che ci danno da fare un nuovo servizio, che “prima o poi ci faranno fare anche i ricoveri!”). Il contratto di lavoro della sanità privata, a cui alcuni guardano, ha come campo di applicazione le strutture di degenza e riabilitazione, cioè le cliniche, e l’inquadramento che ha il farmacista in quel contratto riguarda mansioni diverse da quelle che si fanno in una farmacia, più simili a quelle del farmacista ospedaliero, così come la struttura della retribuzione, le indennità, la gestione dei turni e degli orari. E’ anche utile ricordare che contratto della sanità privata (Aris/Aiop i sindacati datoriali) è stato rinnovato nel 2020 dopo 13 anni dall’ultimo rinnovo.
Ma quindi cosa cambierebbe col passaggio al contratto sanitario? Un contratto si fa tra le parti, e la parte che rappresenta i datori di lavoro nelle farmacie è e rimane Federfarma, non Aris o Aiop. Difficile immaginare che Federfarma accetti di applicare un contratto nazionale fatto da altri soggetti contrattuali che gestiscono strutture e staff completamente diversi, rinunciando alla propria autonomia. Se cambiasse la classificazione della farmacia in struttura erogatrice di servizi sanitari, sempre i titolari di farmacia ci dovrebbero pagare gli stipendi, e sempre con Federfarma andrebbe scritto il contratto nazionale di lavoro. E per firmare un accordo contrattuale non basta una piattaforma bellissima dove chiedere “tutto quello che ci meritiamo”, bisogna poi trovare mediazioni tra le parti che entrambe considerino accettabili, oltre che misurare quando necessario anche i rapporti di forza, che si concretizzano nella partecipazione attiva alle iniziative sindacali e non col numero di contatti su Facebook.
E quindi, ora? Ora le farmacie hanno avuto la remunerazione aggiuntiva per il 2021-2022, e anche su pressione del Ministero della Salute, più volte interpellato dai nostri sindacati, finalmente si è arrivati a concludere l’Ipotesi di accordo 2021/2024, che al di là del discusso
- aumento tabellare (che comunque viene erogato tutto a inizio vigenza, per un aumento mensile di 80 euro, nel triennio 3600 euro, al livello base del collaboratore)
inserisce anche
- il nuovo inquadramento Q2 per il collaboratore responsabile in autonomia di almeno un servizio o che coordina i servizi (7000 euro di aumento nel triennio, cioè 80+70 = 150 euro al mese),
- i 2 euro per ogni vaccino come incentivo aggiuntivo alla paga oraria (che per la prima volta remunerano l’atto professionale),
- l’assistenza sanitaria integrativa che colma una carenza del nostro welfare (Emapi copre solo i grandi interventi, giammai una visita specialistica, e comunque è solo per i farmacisti e non per tutti quelli che lavorano in farmacia),
- i Comitati Covid e l’Osservatorio nazionale, che colmano un’altra lacuna sulla sicurezza nei luoghi di lavoro.
Chi in questi giorni commenta “se non c’è il passaggio al contratto sanitario meglio nessun rinnovo” forse non si rende conto che si ripartirebbe dal medesimo contesto normativo, con la stessa controparte e senza avere niente di nuovo in mano, con un contratto scaduto nel 2013 e Federfarma che dichiarava “Vi diamo 80 euro di aumento in tutto, ma via le 40 ore di permessi, per tutti” (posizione che hanno mantenuto al tavolo fino a un paio di mesi fa).
Anche la FOFI si è interessata di questo tema riguardo al contratto, e rilevando il bisogno di riconoscimento espresso dai collaboratori ha dichiarato recentemente di aver commissionato ad alcuni giuslavoristi uno studio sulle possibilità di un eventuale passaggio a un contratto sanitario, comunque “nell’autonomia delle parti, e nella sostenibilità per le farmacie”, ma in vista di una contrattazione futura e non di quella attuale, considerata la complessità dell’eventuale percorso.
Per ciò che riguarda questo rinnovo invece, dopo il presidio sindacale fatto il 23 giugno davanti a Montecitorio e ricevuto dal Presidente FOFI On.Mandelli, anche lui come il Ministro della Salute (sollecitato nuovamente dalle lettere dei Prefetti che avevano ricevuto gli altri presìdi) ha spinto sulle parti per una rapida e positiva conclusione della trattativa, coerente con l’attuale momento e le attuali possibilità di miglioramento delle condizioni di lavoro.
Secondo noi, lo diciamo ancora una volta, questo rinnovo contrattuale va guardato con attenzione da noi collaboratori, per valutarlo con la testa e non con la pancia, e valorizzato per gli elementi nuovi che sono stati inseriti riguardo alla valorizzazione della professionalità che chiedevamo da anni (il livello Q2 e la prima remunerazione diretta di un atto professionale) e per gli strumenti contrattuali (Commissione inquadramenti e Comitati Covid/Osservatorio) che danno la possibilità di costruire in prospettiva, con un lavoro sindacale costante e operativo da ora al 2024 che richiede partecipazione attiva da parte di noi collaboratori, tramite i nostri sindacati che prendono parte a questi tavoli.
Fonte: Farmacie.blog – 26 settembre 2021
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