Un tempo era la grafia spesso illeggibile del medico a rendere le ricette poco comprensibili ai pazienti
“E’ una situazione frequente. In farmacia abbiamo molto spesso richieste di chiarimento per le prescrizioni dopo le dimissioni da pronto soccorso o da un ricovero“, spiega all’AdnKronos Salute Achille Gallina Toschi, presidente di Federfarma Emilia Romagna, che sottolinea come il problema riguardi tutti i pazienti. Non solo gli anziani, ma anche i giovani e le persone più istruite.
“Insieme ai medici di famiglia – sottolinea – ci ritroviamo spesso a dover interpretare indicazioni siglate, abbreviate o molto sintetiche, consegnate al paziente rapidamente al momento dimissione. Inoltre abbiamo frequentemente richieste di spiegazioni sul modo d’uso dei farmaci prescritti, in particolare quelli da utilizzare con device (apparecchi) innovativi. Le incomprensioni maggiori sono quelle sulle modalità di somministrazione. Un esempio sono le bustine per uso locale, ma prese erroneamente per bocca. Un altro caso è quello dell’eparina iniettabile, spesso prescritta dopo le fratture che obbligano a immobilità. Un farmaco che prevede iniezioni sulla pancia e che, invece, alcuni pazienti pensano di iniettare per via intramuscolare o in vena, con conseguenti danni“.
“Negli ultimi anni ci sono stati molti miglioramenti, per quanto riguarda la chiarezza, nelle prescrizioni dirette al paziente – conferma Mario Falconi, presidente del Tribunale dei diritti e doveri dei medici, già presidente dell’Ordine dei medici di Roma e con una lunga esperienza di medico di famiglia – Resta ancora necessario, però, evitare sigle e abbreviazioni che possono risultare non chiare. In questo senso la ricetta dematerializzata, che arriva direttamente in farmacia, è stata un grande passo avanti per la prescrizione dei farmaci. Ma in ospedale se ne fanno ancora pochissime, forse meno del 20%“.
Una ‘mancanza’ legata anche alle difficili condizioni in cui spesso sono costretti a operare i medici dell’emergenza e quelli ospedalieri, precisa Falconi. Con il blocco del turnover, la riduzione degli operatori e i tagli degli ultimi anni, “le strutture ospedaliere devono far i conti con una domanda crescente da gestire con risorse ridotte. In questo modo i tempi da dedicare al singolo paziente si restringono necessariamente“, conclude Falconi.