Farmaci: troppe sigle e abbreviazioni, ricette illeggibili anche scritte al pc

Un tempo era la grafia spesso illeggibile del medico a rendere le ricette poco comprensibili ai pazienti

A cura di AdnKronos  – 11 gennaio 2018 

FarmacoX 1 cp die per 5gg, aerosol con farmacoY ½ fl, farmacoZ Xgtt, farmacoW 3gtt per 2 per 5 ggt. Prognosi: gg. lav. 7 gg. clin 7 . 7 S.C.“.

Un tempo era la grafia spesso illeggibile del medico a rendere le ricette poco comprensibili ai pazienti. Oggi, nonostante il computer e le prescrizioni stampate, a creare difficoltà sono le tante sigle, le abbreviazioni e l’estrema sintesi presenti spesso nelle comunicazioni del medico ospedaliero dirette al paziente, come nell’esempio riportato, fedelmente tratto (senza l’indicazione dei farmaci) da un foglio dimissioni di un grande ospedale romano.

E’ una situazione frequente. In farmacia abbiamo molto spesso richieste di chiarimento per le prescrizioni dopo le dimissioni da pronto soccorso o da un ricovero“, spiega all’AdnKronos Salute Achille Gallina Toschi, presidente di Federfarma Emilia Romagna, che sottolinea come il problema riguardi tutti i pazienti. Non solo gli anziani, ma anche i giovani e le persone più istruite.

Insieme ai medici di famiglia – sottolinea – ci ritroviamo spesso a dover interpretare indicazioni siglate, abbreviate o molto sintetiche, consegnate al paziente rapidamente al momento dimissione. Inoltre abbiamo frequentemente richieste di spiegazioni sul modo d’uso dei farmaci prescritti, in particolare quelli da utilizzare con device (apparecchi) innovativi. Le incomprensioni maggiori sono quelle sulle modalità di somministrazione. Un esempio sono le bustine per uso locale, ma prese erroneamente per bocca. Un altro caso è quello dell’eparina iniettabile, spesso prescritta dopo le fratture che obbligano a immobilità. Un farmaco che prevede iniezioni sulla pancia e che, invece, alcuni pazienti pensano di iniettare per via intramuscolare o in vena, con conseguenti danni“.

In ospedale, infatti, “a causa del sovraffollamento e alla riduzione del personale di questi anni – osserva Gallina Toschi – non sempre si riesce a dedicare sufficiente tempo ai pazienti che avrebbero bisogno di più indicazioni e spiegazioni. Inoltre, il fatto che nella maggior parte dei casi non ci sia un rapporto diretto e di lunga durata tra medico ospedaliero e assistito, come invece accade con i medici di famiglia e i farmacisti, non permette al paziente di porre tutte le domande che vorrebbe“. La ricetta ‘dematerializzata’ – in realtà ancora non completamente diffusa in tutte le regioni nei servizi ospedalieri – oltre a far risparmiare, ha ridotto sicuramente il margine di errore per quanto riguarda l’identificazione dei farmaci, “ma ci sono ancora ricette scritte a mano o con abbreviazioni che non aiutano il paziente a capire e a ‘gestire’ la sua cura“.

Negli ultimi anni ci sono stati molti miglioramenti, per quanto riguarda la chiarezza, nelle prescrizioni dirette al paziente – conferma Mario Falconi, presidente del Tribunale dei diritti e doveri dei medici, già presidente dell’Ordine dei medici di Roma e con una lunga esperienza di medico di famiglia – Resta ancora necessario, però, evitare sigle e abbreviazioni che possono risultare non chiare. In questo senso la ricetta dematerializzata, che arriva direttamente in farmacia, è stata un grande passo avanti per la prescrizione dei farmaci. Ma in ospedale se ne fanno ancora pochissime, forse meno del 20%“.

Una ‘mancanza’ legata anche alle difficili condizioni in cui spesso sono costretti a operare i medici dell’emergenza e quelli ospedalieri, precisa Falconi. Con il blocco del turnover, la riduzione degli operatori e i tagli degli ultimi anni, “le strutture ospedaliere devono far i conti con una domanda crescente da gestire con risorse ridotte. In questo modo i tempi da dedicare al singolo paziente si restringono necessariamente“, conclude Falconi.

 

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