Li prescrivono pochi pediatri e a pochi pazienti: i problemi sono la «bioequivalenza», gli edulcoranti e gli additivi
MILANO – La metà dei pediatri italiani (48,2%) tratta meno del 20% dei bambini con i farmaci generici equivalenti, mentre solo il 13,5% li utilizza su più del 50% dei propri pazienti, Il dato arriva da un recente studio pubblicato sulla rivista Health Policy del quale si è parlato al 69° Congresso Nazionale della Società Italiana di Pediatria, in corso a Bologna. Questa prudenza dei pediatri nell’utilizzo dei generici, che consentono comunque un grosso risparmio sia per il Servizio Sanitario Nazionale che per le famiglie che acquistano il farmaco, è generata in particolare dalla questione del dosaggio.
BIOEQUIVALENZA – Giovanni Corsello, presidente della Società Italiana di Pediatria, spiega: «Nei farmaci equivalenti la legge consente uno scostamento nella concentrazione di principio attivo sino al 20% rispetto al farmaco di marca. Una variabilità poco significativa nell’adulto, ma che nel bambino può essere causa da un lato di sovradosaggio o dall’altro di inefficacia della terapia. Cautela, quindi, perché l’obiettivo del risparmio non prevalga su quello della sicurezza in una fascia delicata come l’infanzia». Al problema della "bioequivalenza" si aggiunge anche – secondo i pediatri – quello degli edulcoranti e degli additivi, ovvero quelle sostanze senza azione farmacologica che si aggiungono al principio attivo e servono a garantire la stabilità e la conservazione del farmaco. «Nel generico – sottolinea Roberto Bernardini, presidente della Società Italiana di Allergologia e Immunologia Pediatrica – questi ingredienti possono essere diversi rispetto a quelli utilizzati nel farmaco di marca e si tratta di sostanze che possono dare luogo a reazioni orticarioidi, talvolta erroneamente imputate al principio attivo».