Farmaci equivalenti, criticità delle norme italiane
Fortune Italia Health – 31 marzo 2021
La valutazione dell’equivalenza terapeutica di farmaci contenenti principi attivi diversi non è priva di criticità.
Le norme attuali, nel prevedere la possibilità di dichiarare equivalenti farmaci aventi principi attivi diversi per metterli in gara tra loro, sono state introdotte con il principale scopo di contenere la spesa farmaceutica. Dal confronto tra i giuristi è emerso però che le regole stabilite e applicate da Aifa, attraverso la Determina 818 del 2018, sembrano evidenziare aree di discordanza con il quadro normativo comunitario e costituzionale nazionale.
Norme più equilibrate, più trasparenti e più rigorose dal punto di vista scientifico, potrebbero meglio assicurare l’autonomia decisionale dei medici e, con essa, la tutela della salute dei pazienti.
“L’opinabilità del giudizio di equivalenza terapeutica e le lacune normative che regolano la procedura di valutazione dell’Aifa hanno determinato e determinano, inoltre, un frequente ricorso alla Giustizia amministrativa, che viene chiamata ad esprimersi su un tema molto complesso e ricco di implicazioni tecniche e oggetto di un difficile bilanciamento tra una molteplicità di valori costituzionali”, ha spiegato Francesco Saverio Marini, Professore Ordinario di Diritto Pubblico, Università di Roma Tor Vergata e Consigliere di Presidenza della Corte dei Conti.
Aggiungendo che “non si può ignorare che a fronte delle esigenze di contenimento della spesa pubblica, le decisioni dell’Aifa e del giudice amministrativo sull’equivalenza tra farmaci possono avere ricadute significative non solo sull’autonomia prescrittiva dei medici e quindi sulla salute dei pazienti, ma anche sul rispetto della tutela brevettuale, disincentivando la ricerca, lo sviluppo e la produzione di terapie innovative nel nostro Paese”.
Anche rispetto al contesto comunitario e internazionale l’attuale normativa evidenzierebbe lacune in termini di scientificità e trasparenza. Infatti, gli standard seguiti dall’ente regolatorio europeo Ema per il rilascio delle autorizzazioni per i farmaci biosimilari (farmaci biologici validati come biosimilari al farmaco originator non più coperto da brevetto) sono ben più rigorosi e stringenti di quelli che l’Agenzia Italiana del farmaco ha stabilito per poter dichiarare terapeuticamente equivalenti farmaci che hanno principi attivi completamente diversi tra loro.
“La disciplina applicabile nell’Unione Europea e in molti altri ordinamenti internazionali evidenzia come il nostro Paese abbia adottato un approccio che non trova riscontri in altri Stati, rappresentando una sorta di anomalia – spiega Vincenzo Salvatore, professore ordinario di Diritto dell’Unione europea presso l’Università degli Studi dell’Insubria – In Italia si è voluto introdurre una metodologia di valutazione di equivalenza terapeutica tra farmaci a base di principi attivi diversi nel perseguimento prevalente di obiettivi di contenimento della spesa farmaceutica. Si rende quindi necessario approfondire se questo consente il corretto contemperamento dei diversi interessi in gioco, tutti costituzionalmente garantiti”.
Le imprese del farmaco “sono disponibili ad un confronto con le istituzioni per definire nuovi, equilibrati e trasparenti criteri per gestire il tema dell’equivalenza terapeutica, nell’ambito di un’auspicata e sempre più necessaria revisione dell’intera governance della farmaceutica, area realmente strategica per il futuro dell’Italia”, ha assicurato Frega.
Nota: L’amministratore delegato di Novartis Farma, Pasquale Frega, è alla guida del Gef (Gruppo europeo e nipponico di Farmindustria) per il biennio 2020.2022, compagine che riunisce le maggiori 33 aziende a capitale euro-giapponese operanti in Italia
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