I manager della società Biotest Italia volevano l’ok di un medico pisano sul farmaco così, dice il gip, «i concorrenti comprendevano forza dell’azienda». Farmaci testati sui pazienti «comunque»
NAPOLI – I manager della società Biotest Italia volevano la «benedizione» di un noto medico pisano sull’efficacia terapeutica del nuovo farmaco Zutectra, iniezioni indicate «solo per gli adulti» per la «prevenzione della reinfezione da virus dell’epatite B in pazienti HBV-DNA negativi». Emerge dalle intercettazioni contenute nell’ordinanza cautelare notificata ieri a sette persone nell’ambito dell’inchiesta sugli appalti di aziende sanitarie e ospedaliere per le forniture di farmaci. «Ciò – scrive il gip Antonio Cairo – perché tutte le imprese concorrenti ed i medici prescrittori di farmaci a base di emoderivati possano comprendere la forza commerciale della Biotest Italia»: «Ragazzi, non ci dovete rompere il ca..o, perché qui comandiamo noi», dice un imprenditore in una telefonata intercettata.
TEST COMUNQUE – I responsabili del gruppo Petrone e dell’azienda farmaceutica Biotest Italia srl premevano perché negli ospedali, e in particolare nel Cardarelli di Napoli, fossero sperimentati sui pazienti farmaci «a prescindere dalla validità terapeutica». Emerge dall’ordinanza di custodia cautelare notificata ieri a sette persone nell’ambito dell’inchiesta sugli appalti per la fornitura di medicinali ad aziende sanitarie ed ospedaliere. «Si registra – scrive il gip Antonio Cairo, che ha accolto la richiesta del pm Francesco de Falco – un’attività dei responsabili della Biotest Italia ad avvicinare medici ospedalieri ed a stringere accordi per indurli ad agevolare o quanto meno a non ostacolare la diffusione di specialità medicinali commercializzate dalla Biotest».
IL «REGALO» – A questo proposito viene citata un’intercettazione tra Enrico D’Aiuto, responsabile delle vendite di Biotest arrestato ieri, con il direttore di un reparto dell’ospedale San Salvatore dell’Aquila. Quest’ultimo segnala una sua collega che, a un congresso a Napoli, parlerà di immunoglobuline e chiede per lei una somma di denaro: «Io parlerò delle immunoglobuline e questa collega parlerà anche lei di CMV, quindi non so se era possibile dare qualcosa, un piccolo contributo a questa collega, perché lei deve spendere tutto da sola praticamente». D’Aiuto lo dirotta verso il collega Renato Carelli, a sua volta arrestato ieri.
SEL: CALDORO CHIARISCA SORESA – «Le pagine dei giornali sono in questi giorni invase da articoli che raccontano con dovizia di particolari, dopo la vicenda Matacchione, il nuovo scandalo che investe uno dei settori più massacrati dal Governo regionale guidato da Caldoro, che in nome di un presunto risanamento dei conti ha reso la sanità campana quella per cui in Italia si investe meno, che versa nelle peggiori condizioni di tutto il Paese ed in cui vi è il maggior numero di casi di corruzione in assoluto» affermano, in una nota, Arturo Scotto, capogruppo alla Camera di Sinistra Ecologia Libertà, e Salvatore Vozza, coordinatore regionale di Sel. «La So.Re.Sa. – aggiungono – doveva abbattere i costi del sistema sanitario regionale garantendo finalmente trasparenza nell’assegnazione degli appalti, ed invece si parla ancora una volta di associazione per delinquere, turbativa d’asta e falso. Avevamo già negli scorsi mesi segnalato più volte, anche all’Autorità Nazionale Anticorruzione, la necessità di intervenire per verificare cosa stesse accadendo. Oggi, purtroppo, lo scopriamo nel peggiore dei modi. Siamo certi che il presidente dell’Autorità, Raffaele Cantone, saprà agire nelle prossime ore per fare piena chiarezza sulla vicenda».
UNA STORIA AGGHIACCIANTE SULLO SFONDO DELLO SCANDALO SANITÀ CON 7 ARRESTI
Pazienti usati come cavie in ospedale. Il gip: ora si indaghi anche sui medici
Il pm: «Farmaci prescritti ai pazienti a prescindere dall’efficacia». Per ottenere il predominio nella distribuzione è stato alterato il rapporto tra medico e casa farmaceutica
NAPOLI – La premessa, mai come in questo caso, è obbligatoria. Quella che state per leggere è una versione di parte, cioè quella sostenuta dalla Procura di Napoli e per ora (in gran parte) condivisa dal giudice per le indagini preliminari in un provvedimento giudiziario emesso due giorni fa. Manca, dunque, la ricostruzione della difesa, che sarà verosimilmente di segno diametralmente opposto. Se l’interpretazione di pm e gip dovesse però reggere al vaglio dei successivi gradi di giudizio, quella che segue sarebbe una storia agghiacciante. Il racconto della guerra combattuta per acquisire il predominio nel settore della distribuzione dei medicinali, la testimonianza di come sia stata «alterata» la «gestione dei rapporti tra medico e casa farmaceutica», la descrizione di uno «scenario torbido» nel quale si muovono interessi diversi ma finalizzati a un unico obiettivo: «Agevolare la diffusione di medicine da somministrare ai pazienti degli ospedali» per «incrementare gli utili delle società che li distribuiscono». Il tutto, a volte, sulla pelle dei pazienti.
228 PAGINE – È un «sistema», scrive il gip Antonio Cairo nelle 228 pagine dell’ordinanza con la quale due giorni fa ha mandato agli arresti domiciliari il manager del Policlinico della Sun Pasquale Corcione, l’imprenditore farmaceutico Massimo Petrone e altri cinque indagati nell’ambito dell’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Alfonso D’Avino e delegata al pm Francesco De Falco. Come si debba condurre quella battaglia per acquisire il predominio nel settore, lo spiega il responsabile marketing della società Biotest Italia srl, Enrico D’Aiuto. Sono le 17.27 del 7 aprile 2010, e il manager illustra al telefono «la strategia da seguire per assicurare la penetrazione commerciale dell’azienda farmaceutica». Una strategia che il giudice, a pagina 102 del suo provvedimento, riassume così: «Estendere a pazienti ospedalieri, almeno in numero di quindici, trattamenti terapeutici a base di farmaci commercializzati dalla società. Viene considerato funzionale agli interessi dell’azienda che questa diffusione commerciale sia attuata attraverso le prescrizioni di più medici in servizio presso diverse strutture sanitarie, allo scopo di inserire il loro nome nella sperimentazione clinica, parrebbe a prescindere dalla validità terapeutica». Insomma, se questa storia fosse vera, chi commercializzava quei medicinali ne ignorava l’efficacia: «Il loro nome sta sullo studio, che ce ne importa».
GLI ACCORDI E I REGALI – È a questo punto che — a prendere per buona la ricostruzione della Procura di Napoli — «si registra un’attività dei responsabili della Biotest finalizzata ad avvicinare medici ospedalieri e a stringere accordi per indurli ad agevolare la diffusione di specialità medicinali della società». E quegli accordi sarebbero stati conclusi in cambio di «regali o altre utilità» ai camici bianchi. Come il viaggio in Grecia. I cesti di creme solari. O quei nuovi iPad che il 10 maggio 2010 Enrico D’Aiuto ordina di acquistare «in quanto destinati ai medici». La dipendente, al telefono, gli consiglia la versione di punta: «Io avevo considerato quello da ottocento euro. È il più figo di tutti». Ventuno giorni dopo (il 31 maggio) la strategia di D’Aiuto si fa più esplicita: «Il modo migliore è quello di fare vedere indice e pollice» ai medici, cioè «elargire somme di denaro per ottenere in cambio la prescrizione di farmaci». Fosse vero, ci sarebbero «medici ospedalieri» che ricevono corrispettivi non dovuti per privilegiare certi farmaci. E, per farlo, arrivano anche a «non modificare o cambiare — a seconda dei casi — il trattamento terapeutico in funzione degli interessi economici della società».
IL GIP: SI SENTANO I MEDICI – Quei medici sono estranei all’inchiesta in corso, è bene specificarlo. Eppure — rileva il giudice — «sarebbe stata doverosa una riflessione investigativa più attenta sul ruolo di una serie di soggetti appartenenti all’area medica coinvolti nelle anomalie segnalate. Si tratta di medici compiutamente individuati, pubblici ufficiali che accettano senza alcuna remora diverse utilità per la prescrizione dei farmaci commercializzati dalla ditta». La società, però, non si rivolge solo a loro. Si muove su binari paralleli, prova ad agganciare gli amministratori pubblici, cerca coperture istituzionali. E Giuliano Tagliabue, amministratore unico dellaBiotest, il 24 giugno 2010 illustra al telefono (intercettato) le strategie che deve attuare la società cooperativa Bioricerche: «Si tenta di proporre come responsabile scientifico del consorzio Annamaria Colao. (…) Granata a questo punto non potrebbe porre più nessun ostacolo». Annamaria Colao è una delle più brillanti scienziate italiane, ma guarda caso poco meno di tre mesi prima il marito — Stefano Caldoro — è stato eletto presidente della Regione. La prof, però, è persona attenta, e nella vicenda non vuole farsi coinvolgere a titolo personale. Così — come spiega lo stesso Tagliabue il 28 giugno 2010 nel corso di una telefonata con Massimo Petrone — «l’Annamaria ha detto che è d’accordo se entra anche il reparto dove lavora o l’Università». E, a leggere il board della società, ad oggi la Colao non c’è. La ricerca di sponde, però, continua.
«QUI COMANDIAMO NOI » – Gli indagati si vantano di aver avuto «il patrocinio della fondazione del Cardinale» per un convegno, pianificano di coinvolgere politici («Gli assessorati ve li dovete lavorare voi»), provano a invitare a un dibattito Raffaele Calabrò («Se viene è una cosa buona, quello è in odore…»), cercano l’aiuto dell’allora dg della Soresa Francesco Tancredi «in cambio di un aiuto politico». Provano a tirare dentro anche luminari della chirurgia, come accade ad esempio il 4 maggio 2010, quando Enrico D’Aiuto e Renato Carelli «pianificano le modalità per convincere il responsabile del centro trapianti di Pisa a intervenire a un convegno organizzato a Napoli». L’obiettivo? «Ottenere la sua benedizione sull’efficacia terapeutica del nuovo farmaco Zutectra», così che le imprese concorrenti comprendano la forza commerciale dellaBiotest: «Qui comandiamo noi, non ci dovete rompere il c…». Gli imprenditori farmaceutici vogliono il Cardarelli e il Policlinico, ma non si accontentano. Puntano a Roma, al Fatebenefratelli, a Tor Vergata, al Bambin Gesù. E si preoccupano di come i dirigenti della società in Germania possano valutare le loro iniziative: «È difficile spiegare come funzionano le cose in Campania a chi non le conosce». Ma come funzionano le cose — chiosa il gip — «purtroppo lo attestano le conversazioni». La speranza della sanità campana, adesso, è che per quelle conversazioni i diretti interessati abbiano una spiegazione più che valida