Ricerca e profitti Di alcune molecole da tempo in commercio, nate per altre malattie, si scoprono oggi proprietà inattese. In altri casi è l’industria che rigenera medicinali con nuove e più ampie indicazioni. Anche per prolungarne il brevetto e rallentare l’arrivo dei generici.
L’industria farmaceutica attraversa da tempo, sostengono gli analisti finanziari, una crisi ideativa. Nonostante i miliardi investiti ogni anno nella ricerca e nello sviluppo di nuovi farmaci scarso è il numero di quelli veramente innovativi che entrano in commercio. Così le aziende, che spendono oggi più del doppio del budget in marketing, per assicurarsi profitti sono diventate abili in un’altra tecnica: dare una seconda vita a vecchi farmaci. In alcuni casi si tratta di molecole nate e pensate con un’indicazione terapeutica di cui poi si scoprono, talora casualmente, altre proprietà. Tra gli esempi, emblematico quello della talidomide, l’antinausea ritirato dal commercio nel 1961, dopo aver fatto vittime tra i bambini: a causa del farmaco si stima siano nati nel mondo oltre 10 mila focomelici, ossia con gravissime malformazioni fetali; molti morirono entro il primo anno di vita. Da protagonista di una vicenda fra le più tragiche nella storia della medicina, la talidomide è rinata dalle proprie ceneri come speranza per migliaia di malati. Numerosi studi negli ultimi 6-7 anni hanno mostrato un suo insospettabile lato positivo che ha aperto una breccia nella terapia di un tumore del midollo osseo, il mieloma multiplo (da 3 a 4 mila nuovi casi ogni anno in Italia), per il quale la ricerca si era dimostrata sinora avara di soluzioni. All’elenco dei farmaci approvati per un uso che si rivelano utili per altri scopi appartiene il Viagra (sildenafil), entrato in commercio nel 1998 per i disturbi della disfunzione erettiva, 7 miliardi di dollari di vendite e 35 milioni di utilizzatori nel mondo (secondo stime). Adesso si scopre che ha virtù farmacologiche insospettate. Lo si è utilizzato, segnalava già nel 2005 uno studio sul New England Journal of Medicine, con risultati positivi nell’ipertensione arteriosa polmonare: grazie al suo effetto vasodilatatore aumenta il flusso del sangue. E a maggio un articolo sui Pnas ha riferito che iniezioni quotidiane sottocute di Viagra in topi usati come modello animale per la distrofia muscolare hanno protetto il cuore dalla degenerazione progressiva dei muscoli volontari causata da questa malattia. Proprietà insospettate ha anche la miltefosina, antitumorale usato senza successo per il cancro alla mammella, che si è dimostrato efficace anche nella leishmaniosi, malattia parassitaria trasmessa dalle punture di diverse specie di insetti, i moscerini flebotomi. A giugno, informa PloS online, nell’arsenale dei possibili farmaci per la leishmaniosi (lo studio è sui topi) è entrato anche il tamoxifene, altro antitumorale della famiglia dei modulatori selettivi del recettore per gli estrogeni, utilizzato per combattere recidive. Un’analisi del Journal of Health Economics indica che su 68 nuovi farmaci il tempo medio per l’approvazione è di 15 anni. E affinché ciascuno di essi entri in commercio la spesa è di 800 milioni di dollari (circa 600 milioni di euro). Sebbene il National institute of health (Nih) abbia raddoppiato gli investimenti nella ricerca, si legge su Nature, il numero di farmaci che superano il vaglio della Food and drug administration (Fda) resta invariato: 20-30 l’anno. A questo ritmo ci vorranno più di 300 anni perché il numero di medicinali disponibili raddoppi. Come emerge in Farma&Co, libro di Marcia Angell, ex direttrice del New England Journal of Medicine, l’industria farmaceutica, distratta da altri interessi che nulla a che vedere hanno con la conoscenza e la scoperta di nuove molecole,