Tredici case farmaceutiche a capitale italiano (ribattezzate ‘Fab13’) aderenti a Farmindustria (Dompè, Menarini, Molteni, Zambon, Abiogen Pharma, Angelini, Recordati, Chiesi, Italfarmaco, Mediolanum, I.B.N Savio, Kedrion e AlfaSigma), che vantano ricavi in crescita a circa 11,6 miliardi nel 2018 (+4% sul 2017) e un giro d’affari che assorbe 43.000 addetti, cresciuti a livello globale di 1.400 unità in un anno (+3,3%). Sono il ‘fiore all’occhiello’ del settore farmaceutico, e si distinguono per crescita del volume di affari, redditività, volontà e capacità di investimento. Lo rivela un aggiornamento dello studio Nomisma ‘Industria 2030. La farmaceutica italiana e i suoi campioni alla sfida del nuovo paradigma manifatturiero’
Si tratta di un gruppo di aziende localizzate nelle regioni centro-settentrionali, a prevalente controllo familiare, di dimensioni più ridotte rispetto a colossi del settore che operano all’estero. Vantano anche sedi produttive in Italia, ma che hanno saputo affermarsi grazie a un processo di internazionalizzazione lungimirante, mantenendo ‘testa e radici’ industriali in Italia. E’ il fatturato estero a trainare l’incremento complessivo del giro d’affari, in crescita del 6,2% rispetto all’annualità precedente e arrivato a rappresentare il 68,6% delle vendite. Allargando la prospettiva dell’analisi al periodo 2007-2018, appare ancor più evidente la forza commerciale delle ‘favolose 13’ sui mercati esteri, dove la performance ha registrato un +149,7% a fronte di un rialzo del 24,6% sul mercato domestico. L’espansione del numero di addetti ha riguardato principalmente le sedi estere delle Fab13, laddove all’interno dei confini nazionali i livelli di occupazione sono rimasti pressoché stabili (-0,6%), dopo anni di graduale consolidamento: la componente italiana impiegata nelle attività si attesta quindi al 35,2% del totale nel 2018. L’Italia continua a rappresentare la scelta localizzativa prioritaria delle Fab13 per quanto riguarda le attività a maggior valore aggiunto, la base da cui prendono avvio i processi decisionali e la spinta all’innovazione (headquarter e ricerca).
Oltre al presidio dei mercati esteri attraverso l’esportazione di farmaci, l’attività di internazionalizzazione delle aziende farmaceutiche italiane si è consolidata in operazioni ancor più profonde e durature che hanno portato in vent’anni ad acquisizioni e fusioni, all’apertura di stabilimenti produttivi, filiali e centri di ricerca. Una dimensione internazionale che si è ulteriormente amplificata nel 2018 con l’apertura di sette nuove filiali da parte di Recordati (Scandinavia, Benelux, Paesi Baltici, Giappone, Regno Unito, Bulgaria, Australia) e una ad opera di Italfarmaco (Germania), portando il numero totale fuori dal Paese a quota 208.
Infine, se i dati sulla competitività globale delle Fab13 appaiono più che robusti, la volontà di proseguire in una crescita a lungo termine è testimoniato dai tassi di crescita degli investimenti in attività di R&S. Nel 2018 la cifra complessivamente stanziata dalle Fab13 ha superato il miliardo di euro, facendo registrare un incremento del 10,8% rispetto al 2017. Le aziende italiane hanno quindi investito l’8,7% dei ricavi in R&S nel 2018, trainate in particolar modo da Chiesi e Dompé, che riportano un’incidenza sul fatturato rispettivamente del 21,6% e del 14,7%.
Tuttavia – rileva il rapporto – è bene notare come nonostante un rinnovato slancio negli investimenti da parte delle imprese manifatturiere a capitale italiano, la farmaceutica italiana nel suo complesso mostri una propensione all’investimento in ricerca e sviluppo relativamente minore rispetto ai colossi del Big Pharma globale. Un gap che necessita di essere colmato per attrezzarsi ad affrontare le principali sfide del futuro, dai processi di digitalizzazione alle biotecnologie e alle terapie geniche.