Falso contratto di procacciatore. …e le false Partite IVA

La giurisprudenza di merito esclude ormai la possibilità di qualificare come procacciamento di affari una prestazione che presenti aspetti di continuità e stabilità e, quindi, esclude l'esistenza stessa della figura del "procacciatore continuo"

Falso contratto di procacciatore

La giurisprudenza di merito esclude ormai la possibilità di qualificare come procacciamento di affari una prestazione che presenti aspetti di continuità e stabilità e, quindi, esclude l’esistenza stessa della figura del “procacciatore continuo

Ciò che caratterizza un contratto di agenzia è il fatto che all’intermediario sia stato affidato dal preponente un mandato permanente a trattare, addirittura anche nel caso in cui il cliente sia uno solo.

Federagenti – 27 aprile 2022

Domanda: Una mandante mi ha fatto 5 anni fa un contratto da procacciatore e mi paga provvigioni sulla base di fatture semestrali, riferite genericamente ad “affari”. Benché gli importi non siano rilevanti l’attività che svolgo non si limita a semplici segnalazioni, ma anzi è del tutto simile a quella che svolgo per conto altre mandanti con cui ho invece in corso un tradizionale mandato di agenzia. Come faccio a dimostrare che anche questo è in realtà un rapporto di agenzia? E poi, è vero che un contratto di agenzia deve avere sempre l’esclusiva?

Risposta: In effetti anche in base a quanto da lei descritto nella domanda inoltrataci ci sono elementi che indipendentemente dal nome dato al contratto ed indipendentemente dalla descrizione inserita in fattura, riconducono rapporto in esame nell’ambito di agenzia.

Si tratta, in particolare:

1) della durata pluriennale continuativa della prestazione;

2) dell’emissione costante e periodica di fatture provvigionali riferite ad una chiara attività di intermediazione ed ad archi temporali determinati (semestrali, annuali…). A tal proposito occorre evidenziare come la ripetizione periodica della prestazione costituisce un importante indice di stabilità;

3) della pluralità degli affari promossi cui si fa riferimento in ogni singola fattura nonostante nella descrizione della stessa si citi genericamente un insieme di affari; infatti il numero di operazioni concluse in nome e per conto del preponente è di regola un indicatore importante della permanenza, continuità e stabilità del rapport instaurato;

4) del riconoscimento del compenso al “buon fine” dell’affare dettagliato in fattura, tipico dell’agenzia, e corrisposto a seguito di semplice attività di segnalazione come accade per l’attività di “procacceria”;

5) dell’applicazione nelle fatture della ritenuta d’acconto del 23% sul 50% dell’imponibile liquidato, identificando, quindi, a natura provvigionale del compenso.

Ciò che caratterizza un contratto di agenzia è il fatto che all’intermediario sia stato affidato dal preponente un mandato permanente a trattare, addirittura anche nel caso in cui il cliente sia uno solo.

Anche la giurisprudenza di merito esclude ormai la possibilità di qualificare come procacciamento di affari una prestazione che presenti aspetti di continuità e stabilità e, quindi, esclude l’esistenza stessa della figura del “procacciatore continuo”.

Quanto al secondo quesito la risposta è assolutamente negativa. Non è necessario che il rapporto preveda l’esclusiva ai fini della configurabilità di un contratto a agenzia. Il diritto di esclusiva previsto dall’art 1743 del codice civile può essere derogato dalle parti così come previsto dagli Accordi Economici Collettivi.

Ne segue che l’assenza di esclusiva in un contratto di procacciamento non è tale da escludere l’esistenza di un rapporto di agenzia.

Pertanto anche laddove sia in corso con l’azienda un rapporto, formalmente, denominato di “procacceria”, ma in cui invece sono presenti alcuni degli elementi sopra citati, il soggetto interessato si trova nelle condizioni di presentare all’Enasarco un’apposita segnalazione recupero contributi, affinché la Fondazione vada ad ispezionare la contabilità della preponente conseguentemente recuperi i contributi previdenziali non pagati.

Nel contempo l’interessato può contestare alla mandante la qualificazione di rapporto e richiedere alla cessazione dello stesso, laddove ne ricorrano le condizioni, e previste indennità di fine rapporto.

Per avere la certezza dell’esistenza degli elementi ora descritti chiedete verifica ai consulenti della Federagenti che sapranno consigliare per far tutelare i Vs. diritti.

Notizie correlate: Procacciatore d’affari: la guida completa

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… e le “False Partite IVA?

La Legge n.92/2012 ha definito due tipologie contrattuali di lavoro: subordinato ed autonomo.

Tale distinzione nasce dalla necessità di arginare un fenomeno in continua crescita: quello delle false Partite IVA che celano collaborazioni di tutt’altra natura, nelle quali si riscontra l’elemento della subordinazione.

Con l’espressione “lavoro subordinato” si intende un rapporto con il quale il lavoratore si impegna a mettere a disposizione di un datore di lavoro il proprio lavoro in modo continuativo e subordinato, ricevendo in cambio una retribuzione per l’attività svolta, la tutela dei diritti sanciti per legge (es. ferie e malattie pagate, indennità in caso di licenziamento involontario, periodi di aspettativa per gravi motivi, ecc.) e una copertura previdenziale.

Quindi stringendo un rapporto di lavoro subordinato con un’azienda, il lavoratore intraprende una “relazione” vincolata da un contratto, volto a stabilire – tra le altre cose – il numero di ore di lavoro e la retribuzione percepita. Al contrario, se lo stesso soggetto decide di aprire una Partita IVA per collaborare con una ditta, un ente pubblico, ecc., ha pur sempre un contratto a regolamentare il suo lavoro, ma sarà libero di scegliere come e quando dedicarsi ad esso, con l’unico vincolo del raggiungimento degli obiettivi.

Un contratto da lavoratori autonomi è diverso da qualsiasi lavoro subordinato. Con un contratto da lavoro autonomo nessuno potrà mai obbligare a seguire orari, giorni e luoghi di lavoro. Al massimo potranno suggerirti di scegliere un giorno utile da passare in azienda e/o indicare delle consegne intermedie, grazie alle quali potrai organizzare meglio il workflow. Lavorare in proprio significa avere la possibilità di stabilire gli orari, dettare le richieste economiche e scegliere la postazione più comoda. Difatti, è una scelta che in tanti fanno per avere maggiore flessibilità. Quando parliamo di false Partite IVA, invece, ogni eventuale distinzione diventa complessa: talvolta, chi sceglie di intraprendere la strada della libertà economica si trova, poi, a dover restare in ufficio per le otto ore lavorative “canoniche” o a rispettare regole molto stringenti.

La Legge fa differenza tra coloro che possono essere considerati delle false Partite IVA e i soggetti che svolgono un lavoro autonomo “atipico”. Sono esentati dall’obbligo di identificare uno specifico progetto:

L’articolo n.69-bis del D.Lgs n.276/2003 permette di identificare le false Partite IVA. Infatti, salvo prova contraria da parte del committente, le prestazioni effettuate da lavoratori in possesso di Partita IVA sono riqualificate come rapporti di lavoro dipendente qualora ricorrano almeno due condizioni tra le seguenti:

Nel caso degli Informatori Scientifici occorre fare una distinzione fra informatori scientifici del farmaco da prescrizione che devono seguire il D.Lgs 219/06 e informatori scientifici del parafarmaco, intendendo genericamente con parafarmaco le sostanze e i prodotti comunemente venduti in farmacia (OTC, integratori, nutraceutici, dermocosmetici, latti per neonati, dispositivi, ecc.). 

Nel caso degli Informatori Scientifici del Farmaco (ISF) la legge non prescrive il tipo di contratto di lavoro a cui devono sottostare per cui è possibile sia il contratto da lavoro subordinato (CCNL chimici) sia il contratto di lavoro autonomo. Agli ISF però (subordinato o autonomo) è vietata qualsiasi attività di vendita per cui, se autonomo, non può essere inquadrato come agente di commercio.

Gli Informatori Scientifici del parafarmaco invece non hanno vincoli di legge per cui, anche se fra loro possono essere applicati sia contratti da lavoro subordinato sia autonomo, la distinzione è fra chi ha attività di vendita diretta per i quali, se autonomo, può essere applicato il contratto di agenzia e chi non ha attività di vendita.

In tutti i casi il fenomeno delle false Partite IVA che nascondono, in realtà, dei veri rapporti di lavoro subordinato è diffusissimo.

Ciò è dovuto al fatto che nel mercato del lavoro continua ad esserci una profonda differenza di trattamento e di tutele tra i lavoratori subordinati, ai quali si applicano tutte le norme di protezione del lavoro e previdenziali e i diritti previsti dalla legge e dalla contrattazione collettiva, ed i lavoratori assunti con altre forme contrattuali.

Co.co.co., stagisti, tirocinanti, partite Iva: sono molte le forme di assunzione del personale che, a causa della tipologia di contratto utilizzata, non consentono al lavoratore di avere accesso a tutta una serie di diritti fondamentali, come la disoccupazione, la malattia, la maternità, ecc..

Le partite Iva sono, secondo la legge, i lavoratori autonomi, ossia quei lavoratori che, senza alcun vincolo di subordinazione, assumono l’incarico di eseguire un’opera o un servizio professionale a favore del committente, senza essere inseriti stabilmente nell’organizzazione aziendale. Il lavoratore autonomo, alla scadenza prevista nel contratto di lavoro autonomo, consegna il bene o il servizio al cliente e viene pagato con il corrispettivo pattuito. A quel punto, una volta ricevuto il pagamento, il lavoratore autonomo emette fattura a favore del cliente e provvede in modo autonomo a pagare le tasse ed i contributi previdenziali al proprio ente previdenziale di riferimento.

Le false partita Iva sono quei lavoratori che pur essendo formalmente impiegati come lavoratori autonomi sono, in realtà, dei veri e propri lavoratori subordinati in quanto, nel reale svolgimento del rapporto, prestano la loro attività di lavoro con modalità tipiche del lavoro dipendente.

Ci sono una serie di elementi che caratterizzano le modalità di svolgimento del rapporto di lavoro dai quali si può desumere che si tratta di una falsa partita Iva.

Tra questi elementi possiamo indicare, tra gli altri, il fatto che il lavoratore autonomo assunto con partita Iva:

Il rapporto di lavoro con la falsa partita Iva, su iniziativa del lavoratore stesso oppure tramite un accertamento condotto dagli organi ispettivi di Inps, Inail o Ispettorato del lavoro, può essere riqualificato in un rapporto di lavoro subordinato sin dalla data del suo inizio.

Dalla riqualificazione del rapporto deriva il diritto del lavoratore a percepire le cosiddette differenze retributive (ove esistenti), ossia, la differenza tra il trattamento economico che sarebbe spettato al lavoratore se fosse stato assunto sin dall’inizio come dipendente e il trattamento economico ricevuto in qualità di partita Iva.

Inoltre, l’Inps e l’Inail possono chiedere al datore di lavoro di versare tutti i contributi previdenziali ed assistenziali che avrebbe dovuto versare se il lavoratore fosse stato assunto sin dall’inizio come dipendente.

Infine, il rapporto di lavoro diventa un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con tutte le conseguenze del caso in termini di modifica delle mansioni, trasferimento, licenziamento, tutele del lavoratore in caso di malattia, infortunio, gravidanza, handicap, etc.

 

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