È LA PRIMA AREA ITALIANA PER VENDITE ALL’ESTERO, SECONDA PER NUMERO DI OCCUPATI E INVESTIMENTI E IN GRADO DI DARE LAVORO A CIRCA 15MILA PERSONE. IL TREND VIAGGIA A RITMI DI CRESCITA “CINESI” TANTI I BIG COINVOLTI ANCHE LE PMI DECOLLANO
Christian Benna
Milano Nel Lazio la farmaceutica scoppia di salute. L’ultima crisi, quella del 2011, che ha portato ristrutturazioni aziendali, e anche una politica severa di tagli, concentrata soprattutto sugli informatori scientifici, sembra essere assorbita del tutto. Tanto che oggi risulta come prima regione italiana per export di medicinali, seconda per numero di occupati e investimenti, e in grado di dare occupazione a circa 15 mila persone (20 mila con l’indotto) in circa 50 aziende. Secondo Farmindustria, a fine 2013, le esportazioni del settore superano ormai quota 7 miliardi, portando il territorio nella top 10 delle regioni farmaceutiche europee. E il trend viaggia a ritmi di crescita “cinesi”. L’export della regione è cresciuto nel 2013 del 15% e dal 2008 del 18% medio annuo, mentre gli altri settori hanno registrato un calo del -1%. Certo, qualche industriale avrebbe da ridire che, senza la corsa incessante ai mercati esteri, la crisi avrebbe messo ko anche la farmaceutica, presa di mira dall’aumento degli oneri e dai tagli alla spesa ospedaliera. Eppure, quell’hub del farmaco che si è costituto negli anni sessanta sembra resistere a ogni recessione, o almeno si dimostra capace di trasformarsi e di adattarsi alle nuove condizioni economiche. Non sono mancati gli addii, come quelli degli anni novanta, quando alcune multinazionali hanno abbandonato il territorio, o i le riduzione di personale del 2011 in Pfizer, Warner Chilcott, Merck Sharp &Dohm, Sigma Tau. Tuttavia la parabola della farmaceutica laziale, anche nelle stagioni tutte in salita, continua sul filo della crescita. Basti pensare che all’inizio degli anni ‘60 a Latina gli addetti del comparto erano 300, oggi sono 5.000. A Roma da poco più di 4.000 nel 1961 si è passati a 8.000; Frosinone e Rieti, prima assenti dalla geografia dell’occupazione farmaceutica, contano rispettivamente 2.000 e 250 addetti. E Roma e Latina sono la seconda e terza provincia d’Italia per numeri di addetti, dopo Milano. Nel suo complesso l’industria farmaceutica vale il 10% dell’occupazione manifatturiera regionale, circa il 20% degli investimenti, il 32% degli addetti laureati. A Latina è il primo settore per numero di occupati (20% del totale), laureati (54%), presenza femminile (30%) e investimenti (34%). Rispetto al totale delle esportazioni dell’industria manifatturiera, la farmaceutica pesa per il 76% a Latina, il 58% a Frosinone, il 16% a Roma, il 53% a Rieti (42% è la media del Lazio). Un tessuto industriale che però va valorizzato, secondo Massimo Scaccarabozzi, presidente di Farmindustria. Per farlo serve innanzitutto un quadro normativo certo, che «dopo qualche anno di incertezza e ripetuti cambiamenti in corsa, comincia ad avere capisaldi ben visibili a tutti gli imprenditori». Secondo Massimo Scaccarabozzi, «se di fusioni e aggregazioni non se ne vedono, ci sono diversi casi, in cui un produttore utilizza gli impianti dell’altro in caso di bisogno ». L’industria farmaceutica italiana conta di investire, quest’anno, 1,5 miliardo di euro per ricerca e sviluppo. Di questa cifra, il 30% riguarda proprio gli impianti laziali. «Il settore attraversa una fase molto delicata», spiega il numero uno di Farmindustria, «gli investitori stanno osservando il nostro contesto con molta attenzione per decidere se mantenere i propri investimenti, disinvestire, oppure in qualche caso investire sull’Italia. Per questo Farmindustria chiede stabilità delle regole, attenzione al valore industriale, riconoscimento dell’innovazione lungo tutto il ciclo di vita del prodotto (accesso, brevetto, marchio), tutti elementi a costo zero che possono farci vincere la sfida della competitività »». Tanti i big del territorio coinvolti: Daichii Sankyo, Sigma Tau, Pfizer, Baxter, Janssen. Ma anche piccole medie imprese. Le Pmi laziali vendono prodotti per quasi un miliardo di euro. E tra di queste non mancano anche i casi di successo controcorrente. Come quello di Fenix Pharma, destinata alla chiusura nel 2011 dopo la decisione della proprietà americana di uscire dal mercato europeo, e rinata sotto forma cooperativa con il coinvolgimento di 40 lavoratori. Oppure quello di Ibi Lorenzini di Aprilia che produce 36 milioni di flaconi ogni anno, perlopiù penicilline iniettabili, con un fatturato in crescita del 36% negli ultimi 6 anni e un boom dell’export pari al +54%. L’export della regione è cresciuto nel 2013 del 15% e dal 2008 del 18% medio annuo