L’abuso di dipendenza economica e la debolezza contrattuale del lavoratore autonomo, che si verificano
È un tema quello dell’equo compenso aperto da tempo, ma che negli ultimi mesi è ritornato d’attualità. A ottobre dello scorso anno è stata infatti approvata alla Camera una proposta di legge della leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni (i tre firmatari della pdl sono Meloni, Jacopo Morrone della Lega Nord e Andrea Mandelli di Forza Italia, Presidente della Federazione Ordini Farmacisti) relativa all’equo compenso. Dallo scorso 15 febbraio quindi è in discussione al Senato, a cui ha fatto seguito la presentazione di alcuni emendamenti (Emendamenti di Commissione relativi al DDL n. 2419). [N.d.R.: per completezza riportiamo anche il pdl Pastorino]
Pervenuto all’attenzione della Commissione Giustizia del Senato il disegno di legge n. 2419, prevede il diritto ad un equo compenso per tutti coloro che esercitano attività professionale, sia che questa sia direttamente regolata dalla legge mediante la previsione dell’iscrizione obbligatoria ad un albo, sia in che si tratti di una delle tante professioni del “terziario avanzato”, svolte senza necessità di essere iscritti ad un ordine o a un collegio.
Per equo compenso si intende «la corresponsione di un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale». In sostanza un salario minimo che teoricamente dovrebbe valere per ogni professione. La parola compenso, a differenza del termine salario, si utilizza quando ci si riferisce ai lavoratori autonomi. Ma stiamo parlando davvero di tutti i lavoratori?
Se per i lavoratori subordinati, il cui rapporto di lavoro è legato a un datore e a una tipologia di contratto, appunto, subordinata, esistono i minimi stabiliti dalla contrattazione di riferimento, per i cosiddetti autonomi o freelance la situazione è differente. «In generale, i lavoratori autonomi non sono coperti dalla legislazione sul salario minimo» dice Stijn Broecke, economista dell’Oecd, che ha condotto un’analisi proprio sul tema, alla Repubblica degli Stagisti: «La retribuzione minima è di solito espressa su base oraria, mentre i lavoratori autonomi sono di solito pagati in base ai risultati più che al tempo impiegato. Tuttavia, alcuni lavoratori autonomi sono falsamente autonomi. Di conseguenza, non hanno accesso al salario minimo, anche se di fatto ne avrebbero diritto».
È inevitabile dunque che al centro del dibattito ci sia soprattutto questa platea di lavoratori. 1 milione e 400mila persone, stando ai dati Istat pre-pandemia, numero che comprende sia i “professionisti ordinisti”, cioè iscritti a un ordine professionale, sia i non ordinisti.
E qui c’è la prima differenza tra due proposte: se in quella in discussione al Senato l’applicazione del salario minimo si riferisce ai rapporti professionali «aventi a oggetto la prestazione d’opera intellettuale di cui all’articolo 2230 del codice civile», la proposta di Acta riguarda tutti i lavoratori autonomi così come sono definiti dall’articolo 1 della legge 81/2017 e cioè dal cosiddetto Statuto del Lavoro Autonomo.
Tra i firmatari della proposta attualmente in discussione c’è l’onorevole Jacopo Morrone, della Lega Nord: «La Lega ha presentato un emendamento per una ricomprensione più organica nelle previsioni della legge del lavoro autonomo professionale organizzato in forma non ordinistica, attraverso un richiamo all’art. 1 della legge 81/2017» chiarisce alla Repubblica degli Stagisti.
Ma in base a cosa un compenso viene definito equo? La proposta in discussione al Senato fa riferimento a dei parametri specifici per ciascuna professione. In ogni caso il salario minimo deve essere «non inferiore alla retribuzione prevista dal Contratto Collettivo di lavoro di settore applicato dall’azienda committente per il prestatore di mansioni analoghe a quelle del professionista con maggiorazione del 20%».
Sia Confprofessioni che Assoprofessioni hanno insistito sulla necessità di indicare a chiare lettere che le garanzie sull’equo compenso valgono anche per le professioni non regolamentate e per tutti i lavoratori autonomi. Questo apre la strada alla necessità di mettere nero su bianco dei riferimenti economici nuovi, superando la logica dei parametri indicati dai decreti ministeriali, applicabili solo alle professioni ordinistiche.
Prossimi passi saranno l’esame e l’approvazione degli emendamenti legati alla proposta di legge. «Sono stati
L’attuale discussione del Disegno di Legge sulle Disposizioni in materia di equo compenso delle prestazioni professionali, momentaneamente fermo al Senato, è sicuramente un primo passo politico importante, che evidenzia l’urgenza di intervenire su questo tema, ma non tiene presente le diverse peculiarità che il variegato mondo del lavoro autonomo rappresenta e le sue vere necessità. A ribadirlo è vIVAce Cisl, l’associazione dei liberi professionisti e dei Freelance. Nell’attuale Disegno di Legge permangono delle criticità che non possono essere sottovalutate quali: la mancata inclusione delle associazioni di rappresentanza del lavoro autonomo e delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentativi, i criteri per la definizione della platea dei destinatari e la mancata esplicitazione dei parametri economici.
La CGIL ritiene il disegno di legge non utile per i lavoratori. Ne riportiamo il comunicato
“Il disegno di legge sull’equo compenso per le prestazioni professionali, fermo al Senato, così come è delineato, non è utile ai lavoratori autonomi”. Ad affermarlo, in una nota, la Cgil nazionale.
“Si tratta di un’opportunità che – spiega la Confederazione – poteva essere meglio sfruttata e invece permangono alcune severe criticità che non possono essere sottovalutate: i criteri per la definizione della platea dei destinatari, la mancata esplicitazione dei parametri economici e la non inclusione delle associazioni di rappresentanza dei professionisti autonomi come definite dalla L.81/2017 e delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative”.
Per la Cgil “grave anche l’impostazione che ravviserebbe nella violazione dell’equo compenso una causa di illecito disciplinare deontologico a carico dei professionisti iscritti agli ordini, determinando così una colpa a carico del lavoratore e un’ulteriore demarcazione tra professionisti iscritti agli ordini e professionisti privi di ordine”.
“Nonostante osserviamo la volontà di costruire un’attenzione specifica relativamente al compenso dei professionisti, non possiamo dirci soddisfatti del contenuto in discussione. I professionisti autonomi meritano tutele a tutto tondo, come la Cgil ribadisce da tempo, anche con la Carta dei Diritti universali del lavoro che – ricorda in conclusione la Cgil – ha dato vita alla proposta di legge ancora oggi ferma in Parlamento”.
Redazione Fedaiisf – 7 maggio 2022