Dal 2010 ad oggi la spesa farmaceutica del Veneto è scesa da 160 a 118 euro annui pro capite (-26,25%) collocandosi a quota 840 milioni nell’anno in corso. Una performance che colloca il Veneto in testa alla classifica delle regioni virtuose. Caccia agli sprechi, acquisti centralizzati, appropriatezza delle ricette. Aifa: è la gestione più virtuosa tra le regioni italiane.
27 ottobre 2015 – di Filippo Tosatto – Il Mattino di Padova
VENEZIA. L’abuso e il consumo improprio di medicinali hanno un duplice effetto negativo: sull’organismo del paziente (l’etimo greco pharmakos indica sia il rimedio curativo che il veleno) e sui bilanci del sistema sanitario, già afflitto da tagli statali ripetuti e cospicui.
Circostanza, quest’ultima, che ha indotto il Veneto ad attuare un piano di riduzione della spesa articolato su più versanti: l’appropriatezza nelle prescrizioni, perseguita con la collaborazione dei medici; la centralizzazione delle gare d’acquisto finalizzata a spuntare prezzi più vantaggiosi; la caccia agli sprechi con verifica annuale del rapporto tra forniture e consumi. Tant’è: dal 2010 ad oggi la spesa farmaceutica del Veneto è scesa da 160 a 118 euro annui pro capite (-26,25%) collocandosi a quota 840 milioni nell’anno in corso (554 la frazione “territoriale” derivante dalle ricette dei medici di famiglia, 285 quella ospedaliera) nel pieno rispetto del tetto fissato dal ministero della salute che fissa all’11,35% la percentuale del budget sanitario regionale destinato ai farmaci. Una performance che colloca il Veneto in testa alla classifica delle regioni virtuose: soltanto le piccole province autonome di Trento e Bolzano vantano standard migliori.
Lo rivela il rapporto fresco di stampa di Aifa, l’Agenzia nazionale del farmaco, che fotografa l’andamento della spesa, documentando come ben 13 regioni italiane (le meridionali al gran completo ma anche Toscana, Liguria e Friuli-Venezia Giulia) superino i parametri stabiliti. Ma non si tratta di un mero esercizio contabile. Il contenimento “strutturale” della spesa consente di investire i risparmi nell’acquisto dei prodotti salvavita più onerosi: gli oncologici ad alto costo, il nuovo farmaco contro l’epatite C, i medicinali innovativi da utilizzare in fase di terapia post-operatorie. Ma come è stata attuata, concretamente, questa spending review? Privilegiando, in particolare, l’accentramento delle procedure di gara, dapprima atomizzate nel circuito di 24 tra Ulss, Aziende ospedaliere-universitarie e Istituti. Qualche esempio extrafarmaceutico? La gestione unica del brokeraggio assicurativo ha abbattuto l’aggio dal 14 all’1%; la gestione informatizzata del personale ha fruttato un risparmio annuale di 2,41 milioni proiettato nel quinquennio; la spesa annuale per le forniture di stent coronarici è calata di 2,10 milioni, quella degli ausili per incontinenti di 7,98; minori esborsi (nell’ordine del milione di euro) anche per le reti chirurgiche e le protesi oculistiche.
È tutto? Non proprio. La flessione di spesa sul versante dei medicinali non risponde soltanto a criteri amministrativi più virtuosi del passato. È anche il frutto dell’impoverimento di una frangia della società non più in grado di accedere ai farmaci più costosi, quelli di fascia C, prescritti soprattutto dai medici specialisti, gravati da ticket onerosi con scarse opportunità di esenzione. Testimoni di questo fenomeno sociale sono i medici di famiglia, a contatto diretto e quotidiano con i pazienti.
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