La denuncia del New York Times: migliaia di dottori americani ricevono soldi dalle aziende del farmaco. Per fare da relatori a convegni o partecipare a congressi, convincere i propri colleghi della bontà del medicinale. Tutto legale. Ma è etico?
Antonino Michienzi – Giovedì 11 Dicembre 2014, HealthDesk
Cosa sia avvenuto in Italia è ormai noto: le due aziende produttrici (Roche e Novartis) sono state multate quasi un anno fa dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato con l’accusa di avere messo in piedi una strategia finalizzata a “pompare” il farmaco più costoso (Lucentis) a discapito di quello più economico (Avastin) (leggi “Roche, Novartis e quel patto per affossare un farmaco low cost”). Nei giorni scorsi il Tar del Lazio ha respinto il ricorso delle aziende (leggi “Caso Avastin-Lucentis: confermata la maximulta da 180 milioni a Roche e Novartis”) che comunque continuano a ribadire la correttezza del proprio operato e si dicono pronte a ricorrere al Consiglio di Stato.
Questo in Italia.
In particolare, «la metà dei 20 dottori che aveva ricevuto la maggior quantità di denaro da Genentech per promuovere Lucentis nel 2013 erano tra i maggiori utilizzatori del farmaco nel 2012, e prescrivevano il 75% in più rispetto ai colleghi. […] I 20 medici avevano guadagnato dagli 8.500$ ai 37.000$ nei primi 5 mesi del 2013».
La pratica non ha nulla di illegale. Tutt’altro. Dal 2010, con l’approvazione del Physician Payment Sunshine Act contenuto nella riforma sanitaria del presidente Obama, le aziende sono obbligate a comunicare tutti i pagamenti verso i medici o gli ospedali universitari. Lo scorso settembre, la prima raccolta di dati, relativi agli ultimi mesi del 2013, ha preso vita in un database pubblico (https://openpaymentsdata.cms.gov) dove ogni cittadino può sapere se il proprio medico ha ricevuto incentivi economici (e di che entità e a quali fini) dalle aziende farmaceutiche che, nel complesso, negli ultimi mesi dello scorso anno hanno versato a medici e ospedali 3,5 miliardi di dollari.
Le aziende, dunque, possono pagare i medici purché non lo facciano sottobanco.
Tuttavia, come rilevano le due giornaliste, il caso (ma quello dei due farmaci è soltanto uno dei mille esempi che si potrebbero fare) «solleva il problema se le relazioni finanziare tra medici e produttori di farmaci influenzino le loro scelte terapeutiche».