L’inchiesta sulla Menarini approda in Canada e si arricchisce di un nuovo tassello. Sul tavolo del pubblico ministero Luca Turco della Procura di Firenze c’è una sentenza della corte tributaria di Toronto, acquisita dalla polizia giudiziaria nell’ambito dell’inchiesta che sta conducendo sulla più grande azienda farmaceutica italiana.
Non è ancora chiaro a quale scopo la procura abbia acquisito il documento canadese, certo è che la richiesta al tribunale di Toronto conferma le dimensioni internazionali dell’indagine.
Nei mesi scorsi le varie sedi dell’azienda farmaceutica sono state sottoposte a una serie di perquisizioni, sfociate nel più grande sequestro della procura di Firenze. Alla Menarini, infatti, sono stati sequestrati beni e denaro per un totale di oltre un miliardo di euro, cifra che sarebbe stata fatta rientrare dall’estero con lo scudo fiscale, ma che gli inquirenti pensano sia frutto di condotte illecite.
Pesanti anche le accuse nei confronti dei responsabili della casa farmaceutica e dei vertici di altre società che operano nel settore dell’importazione dei farmaci, che vanno dall’associazione a delinquere alla frode fiscale fino alla ricettazione e all’interdizione alla contrattazione con le pubbliche amministrazioni. Gli indagati sono quattordici a partire da Alberto Aleotti, 87 anni, proprietario e amministratore di fatto delle società del gruppo Menarini, e i due figli Lucia e Alberto Giovanni. L’associazione a delinquere – Alberto Aleotti, principale indagato, ne sarebbe stata la mente – sarebbe stata finalizzata al riciclaggio e al reimpiego di denaro proveniente da attività illecite, truffa ai danni dello Stato, ricettazione di materie prime e violazioni fiscali.
Ad Alberto Aleotti gli inquirenti contestano di aver creato una struttura commerciale fittizia grazie alla quale sono stati gonfiati i costi delle materie prime e quindi anche quelli dei medicinali, truffando di fatto il sistema sanitario italiano. Alcune società sarebbero state create ad hoc da Aleotti anche per depositare denaro all’estero, aggirando il fisco. Insomma un complesso meccanismo di scatole cinesi messo insieme in più di venti anni, a partire almeno dal 1984 secondo la ricostruzione della procura di Firenze. L’inchiesta, però, è iniziata nel 2008 quando un funzionario della banca Lgt del Liechtenstein passò ai servizi segreti tedeschi una lista con migliaia di nomi di titolari di conti correnti all’estero, fra cui spiccava quello della famiglia Aleotti con più di 400 milioni di euro, rientrati poi in Italia grazie allo scudo fiscale.
Dell’alterazione fraudolenta dei prezzi, secondo quanto emerso dal lavoro della Procura di Firenze, avrebbero beneficiato anche società straniere con un danno per la collettività italiana “di gran lunga superiore” al miliardo di euro di profitto.
Subito dopo il maxi sequestro Lucia Aleotti ha diffuso una nota a nome dell’azienda, definendo l’ipotesi di reato “assolutamente priva di fondamento”. Secondo la Menarini “il prezzo dei farmaci è determinato dalle autorità competenti solo sulla base della loro efficacia e valore terapeutico, senza possibilità di includere, in tale valutazione, il costo delle materie prime. Non vi è quindi alcun danno per il Servizio sanitario nazionale né per i cittadini”.
“Tutte le operazioni di acquisto di principi attivi sono state effettuate a valori di mercato, come già riscontrato in precedenti verifiche e non hanno dunque determinato alcun effetto negativo sulla corretta determinazione degli utili aziendali”, aveva specificato in un’altra nota il legale della ditta, Roberto Cordeiro Guerra. “Il
522 2 minuti di lettura