Dati sanitari: per Lancet una grande debolezza del sistema sanitario italiano
L’analisi della rivista rileva la grave frammentazione dell’infrastruttura dei dati sanitari e che a peggiorare la situazione, acuendo le disparità tra regioni, sarà la legge sull’autonomia differenziata
Panorama Sanità – 7 gennaio 2025
“Una delle principali debolezze del sistema sanitario italiano è la frammentazione dell’infrastruttura dei dati sanitari: non esiste un sistema unificato e centralizzato per la documentazione e la condivisione delle cartelle cliniche elettroniche (Ehr), dei dati ospedalieri e delle cartelle dei medici di base”. E’ quanto si legge nell’editoriale pubblicato il 5 gennaio scorso dalla rivista The Lancet Regional Europe che pone in copertina la bandiera italiana e tratta l’autonomia regionale dal titolo ‘The Italian health data system is broken’, e che si occupa in particolare della raccolta dei dati scientifici utili alla ricerca e all’assistenza. L’analisi evidenzia disparità tra Nord e Sud, iniquità delle cure, il flop della medicina digitale e ricerca.
Secondo The Lancet la causa principale della frammentazione dell’infrastruttura dei dati sanitari è l’ampia autonomia regionale, “con 20 regioni che operano in modo indipendente e implementano politiche e tecnologie diverse, creando frammentazione normativa e inefficienze. La scarsa interoperabilità tra regioni e ospedali, oltre alla mancanza di sistemi di caricamento automatico dei dati nelle cliniche private, mina l’efficacia del Fascicolo Sanitario Elettronico” si legge ancora “rendendolo ampiamente inefficace a causa di questi difetti strutturali.
A complicare ulteriormente la situazione c’è l’assenza di una politica nazionale per allocare equamente le risorse a tutte le regioni o stabilire protocolli standardizzati per la raccolta e il trasferimento dei dati. Molti ospedali e strutture continuano a fare affidamento su sistemi obsoleti e incompatibili, rendendo il trasferimento delle cartelle cliniche e delle immagini diagnostiche manuale e laborioso, anche all’interno della stessa regione o città. L’assenza di standardizzazione impedisce la creazione di registri nazionali, ostacolando l’assistenza efficace e la gestione delle crisi”.
“Un sistema così frammentato – prosegue l’articolo – non solo delude la popolazione italiana, ma impone anche un notevole onere economico al Paese. I pazienti delle regioni meridionali, che in genere hanno risorse più limitate, si recano negli ospedali del nord, meglio attrezzati, per le cure. Tuttavia, a causa della mancanza di sistemi interoperabili, gli ospedali del nord spesso non riescono ad accedere alle cartelle cliniche dei pazienti, con conseguenti test diagnostici ripetuti e ritardi nelle cure. Questa duplicazione aumenta i costi (la sola mobilità sanitaria interregionale ammonta a circa 3,3 miliardi di euro all’anno ) e compromette i risultati per i pazienti.
Il sistema di dati sanitari frammentato in Italia presenta anche sfide considerevoli per la ricerca. Senza una piattaforma centrale, i ricercatori devono fare domanda ai comitati etici e per la privacy delle singole istituzioni, che possono respingere le richieste senza una giustificazione scientifica sostanziale. Dal 2009, la percentuale di studi autorizzati sul totale è scesa al 15% , segnando un calo significativo. Inoltre, la raccolta dei dati è spesso manuale e di scarsa qualità, rendendo quasi impossibile condurre studi multicentrici di alta qualità, ostacolando gravemente la generazione di risultati di impatto e generalizzabili.
Nel 2022, l’Italia ha speso 1,8 miliardi di euro per l’assistenza sanitaria digitale , con un aumento del 7% rispetto all’anno precedente. Tuttavia, non è ancora chiaro se questi fondi siano stati pienamente utilizzati e come siano stati spesi, in particolare in relazione alle cartelle cliniche elettroniche e all’integrazione dei sistemi sanitari regionali e nazionali, poiché solo il 42% delle cliniche ha dichiarato di avere un sistema di acquisizione dati elettronico attivo in tutti i reparti.
La sfiducia pubblica nel governo aggrava il problema, con oltre 90.000 italiani che si rifiutano di condividere i propri dati sanitari a causa di preoccupazioni sulla privacy, un sentimento amplificato durante la pandemia di Covid-19. Mentre l’Europa ha abbracciato la cosiddetta base giuridica dell’interesse legittimo, consentendo l’uso dei dati sanitari per la ricerca e l’innovazione senza basarsi esclusivamente sul consenso individuale, la legislazione restrittiva e la frammentazione regionale dell’Italia ostacolano questi sforzi, non riuscendo a bilanciare i diritti alla privacy con l’interesse pubblico a migliorare l’assistenza sanitaria.
Una riforma appena proposta minaccia di peggiorare ulteriormente la situazione. La legge sull’autonomia differenziata, se approvata, decentralizzerà ulteriormente la governance sanitaria, approfondendo la frammentazione e le disparità tra regioni invece di promuovere una raccolta e una condivisione armonizzate dei dati.
L’armonizzazione legislativa a livello nazionale è essenziale per stabilire una rete di dati sanitari unificata in Italia. Questo approccio supporterà l’interoperabilità dei dati, la telemedicina e la digitalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale, sfruttando al contempo iniziative europee come il Data Governance Act, che promuove la condivisione sicura ed etica dei dati, l’European Health Data Space, che mira a consentire l’assistenza sanitaria transfrontaliera e a promuovere la ricerca, e l’AI Act, che cerca di regolamentare l’intelligenza artificiale affidabile e trasparente nell’assistenza sanitaria.
La mancata adozione di misure aggraverà le disuguaglianze, ritarderà i trattamenti e ostacolerà i progressi, mentre dare priorità alla riforma sistemica offre all’Italia l’opportunità di soddisfare la domanda di assistenza sanitaria e di fornire un’assistenza equa ed efficiente”.
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