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Tagli alla sanità? Si vive di meno

L’ultimo rapporto Ocse attesta per gli italiani un’aspettativa di vita scesa di un anno. Le cause sono chiare: poco personale, poche risorse.

HEALTH HEALTHCARE ASPETTATIVA DI VITA

Chi l’avrebbe mai detto: non solo l’Italia retrocede nella classifica dei Paesi più longevi passando dal terzo al nono posto, ma la retrocessione non dipende dall’aumento dell’life expectation in altri Paesi, bensì dalla diminuzione di ben 12 mesi da noi bloccandoci a 82,7 anni. A dirlo è l’Ocse nel Rapporto Health at a Glance, una sorta di panoramica sulla salute mondiale.

LE CAUSE DEL DISASTRO

A scorrere il rapporto appare abbastanza chiaro che quanto registrato era facilmente prevedibile, visto che la spesa sanitaria pro capite italiana è 4.291dollari,ben al di sotto della media mondiale di 4.986. Se invece volgiamo lo sguardo all’Europa c’è da mettersi davvero le mani nei capelli: in Germania la spesa pro-capite è doppia rispetto all’Italia pari a 8.000 dollari e in Francia è superiore la nostra di circa un terzo arrivando a 6.630. In futuro, se non si torna a implementare il fondo sanitario, diversamente da quanto fatto in finanziaria e da quanto annunciato nel Def dal governo, le cose andranno peggio. Basti pensare che l’Organizzazione mondiale della sanità sostiene che una spesa sanitaria sotto il 6,5% del Pil mette a rischio la salute pubblica; ma Meloni e i suoi ministri hanno scritto nero su bianco che nel 2026 quella italiana scenderà al 6,1% passando al 6,2 del 2024. Altro che i millantati aumenti della premier.

IL PERSONALE

Pochi soldi, pochi medici e infermieri. Anzi da noi sono pochi e in fuga, visto i recentissimi provvedimenti che tagliano le pensioni per quei sanitari che andranno in quiescenza dal 1° gennaio 2024. Secondo l’Ocse a medici, in generale, non siamo messi malissimo visto che ne abbiamo 4,1 ogni mille abitanti contro i 3,7% della media Ocse, peccato che sono tanti nelle specializzazioni più remunerative per attività privata e assai pochi per quelle che remunerative non lo sono, a cominciare da quelli di medicina generale o da quelli di emergenza urgenza. Ma pochi davvero troppo pochi sono gli infermiere e le infermiere: 6,2 ogni mille abitanti a fronte dei 9,2 della media Ocse.

POI I POSTI LETTO

Pochi medici, pochi infermieri e pochi pure i posti letti ospedalieri. Il gioco della perdita di salute è fatto. Da noi i posti letto sono 3,1 ogni mille abitanti, la media Ocse ne conta 4,3 mentre in Germania sono 7,8 e in Francia 5,7. Ecco svelato perché nel 2020 i malati Covid italiani finivano negli ospedali oltre confine. E per di più, come purtroppo ben sappiamo, scarseggiano pure ambulatori e presidi territoriali.

Le conclusioni sono davvero amare: pochi medici, pochissimi infermieri, gli uni e gli altri mal pagati e sottoposti a stress da doppi turni e pochi riposi, oltre che da condizioni di lavoro davvero a volte estreme. Inevitabilmente poche anche le cure e a scadere a volte è anche la qualità. Ecco spiegata la riduzione dell’aspettativa di vita di cittadini e cittadine del Paese.

 

COSA SERVIREBBE

La Cgil lo afferma da tempo, lo ricorda Daniela Barbaresi, segretaria confederale: “Per raggiungere il livello della spesa media europea, al servizio sanitario nazionale italiano occorrerebbero 50 miliardi di euro in più all’anno e almeno 35 miliardi per raggiungere la media Ocse”. Serve un piano straordinario di assunzioni, ma nella legge di bilancio non v’è traccia delle risorse necessarie ma sono stanziate solo per pagare un po’ di più di straordinario, quando già quello che si fa è troppo. Serve costruire davvero la sanità di territorio, ma non solo il ministro Fitto e il governo hanno ridotto il numero di case e ospedali di comunità, non hanno stanziato le risorse per consentire il funzionamento di quelle che si costruiranno. Serve un’alleanza tra cittadini cittadine, operatori e operatrici sanitari, lavoratori e lavoratrici per ridare vita a quel grande movimento che negli anni settanta del ‘900 portò all’istituzione del servizio sanitario nazionale. Oggi dobbiamo salvarlo e rilanciarlo.

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Redazione Fedaiisf

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