Gli studi associati dei medici di famiglia destinati a tramontare in favore delle cooperative? Possibile. Il Fisco giudica incongrue molte dichiarazioni di questi enti: sosterrebbero costi troppo alti in relazione ai corrispettivi di propria competenza. E con l’incongruità il rischio di un accertamento è alto, anche se prima scatta un contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate dove il medico può provare le sue ragioni. In regioni come la Lombardia, gli studi associati a lungo sono stati la formula prescelta dai medici per associarsi. La norma finale 4 della convenzione 2000 consente di versare parte dello stipendio direttamente allo studio senza citare altre forme societarie; per di più questi enti, tipici di avvocati, notai, liberi professionisti puri, sono autonomi soggetti fiscali, e possono intestarsi utenze e assumere personale. Qui scatta l’inghippo: molti medici con l’ente studio associato ci pagano i costi per intero, come avviene per le coop. Ma, se restano esigue le entrate dello studio – che più è “popoloso” più è complesso da governare, richiedendo l’unanimità dei consensi per le decisioni – ecco che il Fisco trova incongrua la dichiarazione.
«Per l’Agenzia delle Entrate sono incongrue le situazioni in cui i costi sono sproporzionati rispetto ai ricavi», spiega Maurizio DiMarcotullio dottore commercialista, tecnico della Commissione Fisco Fimmg. «Gli studi di settore verificano quanto i costi sostenuti dal professionista incidano sui compensi. C’è un indice ideale dal quale non ci si dovrebbe scostare; l’incongruità scatta quando ci si scosta perché gli oneri sono troppo alti rispetto ai compensi dichiarati. Gli accordi regionali in realtà prevedono si versi allo studio associato una percentuale per coprire i costi. Poniamo sia il 20% dei compensi in busta paga: a quello studio il medico non dovrà imputare il 100% dei costi di personale e utenze ma il 20%, o comunque una percentuale omogenea, altrimenti lui è congruo ma lo studio associato non lo è e scatta il contraddittorio». Che non è un “guaio”. «Lo studio di settore –dice Di Marcotullio – è una presunzione semplice, come ribadisce la Cassazione, e se il medico porta prove della regolarità del calcolo e della sua buona fede, gli argomenti del Fisco possono “cadere”».
Per evitare grane dunque meglio rinunciare alla forma societaria? Anche la formula di pagare un medico il personale, uno le utenze, un terzo l’affitto, e poi compensare a fine anno tra loro, per il Fisco non è trasparente, ricordano in Fimmg. Di Marcotullio ricorda che Fimmg ha fatto ricorso al Tar un anno fa contro gli studi di settore. «Riteniamo che il Mmg sia una figura parasubordinata, i suoi redditi sono in gran parte da convenzione. Chiedevamo la sospensiva ma è stata respinta: i giudici, in attesa di esprimersi nel merito, non ravvisano gravità e urgenza per intervenire, e forse vedono la risposta alla questione molto delicata».
Mauro Miserendino