L’azienda chiude? Nessun problema, a resuscitarla ci pensano i suoi impiegati. Sono sempre più numerosi, infatti, i casi in cui degli ex dipendenti decidono di costituire una cooperativa allo scopo di diventare proprietari dell’impresa per la quale lavoravano, investendo Tfr e indennità di mobilità, anziché vederla finire nel baratro a causa della crisi e della stretta creditizia che ne deriva.
Si chiama «workers buyout», un fenomeno particolarmente diffuso negli Stati Uniti, ma che ora risulta in crescita anche in Italia.
IL CASO FENIX PHARMA. Gli ultimi ad aver tentato qualcosa di simile sono 5 manager della Warner Chilcott, ex Procter & Gamble Pharmaceuticals, che in seguito alla chiusura di tutte le sedi europee da parte di quest’ultima, operazione che in Italia è costata 150 licenziamenti, hanno fondato a Roma la cooperativa farmaceutica Fenix Pharma, al fine di rilevare l’attività locale del colosso Usa.
L’iniziativa, sostenuta da Coopfond, che ha investito nel progetto 300mila euro, è partita subito con il piede giusto. Con 41 addetti (3 managers di sede, 31 informatori scientifici, 5 capi area, 2 amministrativi) di cui 39 sono soci, i quali hanno deciso di attribuirsi un contratto a progetto per il primo anno con retribuzione gradualmente crescente, in modo tale da agevolare la fase di start up, Fenix Pharma può contare su una capitalizzazione di tutto rispetto: 390mila euro già versati, più 125mila di finanziamento infruttifero messi sul piatto da parte dei cinque fondatori, ai quali si aggiungono i 320mila in arrivo dagli altri 34 soci. Previsti a breve altri 840mila euro d’investimenti, tra acquisizione di licenze, strumentazioni, magazzino e promozione. E i primi risultati dovrebbero incominciare a vedersi già nel 2013.
VETRERIE EMPOLESI, NATA SULLE CENERI DI TRE AZIENDE. Nel Belpaese fin qui si è assistito a operazioni finanziarie come queste soprattutto in Toscana ed Emilia Romagna, dove il tessuto cooperativo è più robusto che altrove. Ma all’appello rispondono, oltre al Lazio, anche Veneto, Marche e Lombardia. Tra i primi a tentare questa strada figurano Vetrerie Empolesi, nata nel 2010 sulle ceneri di tre aziende del settore (Azzurra, Arno e Save) sopraffatte dalla crisi globale, unica rimasta nella zona a lavorare il vetro artistico a mano e a soffio, e Manifatture Toscane, azienda di ceramica di Montelupo Fiorentino, salvata in corner da una ventina di tenaci lavoratori. Gli esperti però avvertono: da semplice impiegato a capitano d’impresa, il passo rischia di rivelarsi più lungo della gamba. E consigliano di ricorrere al «workers buyout» solo quando vi sono di mezzo aziende di piccole e medie dimensioni.
EMILIA ROMAGNA, APRIPISTA NEL WORKERS BUYOUT. Su tutti, come accennato, brilla poi l’esempio emiliano. Qui sono state svariate le operazioni di salvataggio condotte da dipendenti pronti a tutto. Art Lining, ex Lincra, esempio di eccellenza del Made in Italy