HEALTHCARE, GOVERNORS RANGED AGAINST THE NEW GOVERNANCE

Robert Turn
ROME
«Giù le mani dai nostri poteri». Mentre il federalismo fiscale va avanti a Montecitorio raccogliendo sempre meno critiche anche dalle Regioni, sempre dalla Camera è arrivato ieri un secco altolà dei governatori contro qualsiasi tentativo di invadenza parlamentare nelle prerogative locali. E proprio sul capitolo più scottante del bislacco federalismo attuale, che col fisco federale diventerà ancora di più la partita di tutte le partite: la sanità.
Nel mirino delle Regioni è finito il testo elaborato in comitato ristretto alla Camera sulla «governance sanitaria»: dalle nuove regole anti-lottizzazione sulla scelta dei manager a quelle sui primari, dal cosiddetto «governo clinico» del Ssn alla libera professione dei medici fino all’età pensionabile degli stessi medici d’Italia, in particolare quelli non universitari meno protetti dei loro colleghi universitari che godono storicamente degli scudi protettivi baronali.
Il parere dei governatori è stato lapidario: «La proposta di testo unificato presenta caratteri di incostituzionalità». Una stroncatura in piena regola. Perché la riforma del titolo V della Costituzione del 2001, come ha più volte ribadito in questi anni la Corte costituzionale, non ammette ingerenze nei poteri di cui le Regioni dispongono e che intendono difendere a denti stretti e senza deroga alcuna. Con le regole attuali, e sicuramente ancora di più con quelle che deriveranno dalla riforma del federalismo fiscale in arrivo.
Su programmazione, organizzazione e gestione dei servizi nella Sanità pubblica, dicono in sostanza i governatori, le Regioni hanno più o meno carta bianca. E quel testo che la Camera sta mettendo a punto – come già accaduto quando ci provò l’ex ministro Livia Turco – è tutto sbagliato, e tutto da rifare.
«Siamo ampiamente disponibili al confronto», hanno diplomaticamente affermato ieri le Regioni nell’audizione in commissione Affari sociali della Camera. Anche se nell’incontro a porte chiuse svoltosi in mattinata in preparazione dell’audizione, non sono mancate pesanti accuse contro una proposta di riforma considerata un vero e proprio blitz. Proposte «dirompenti» ed «eversive» rispetto al dettato costituzionale, quelle allo studio del Parlamento, è stato il giudizio finale. Che nella forma ha rinviato qualsiasi commento di merito alla posizione vecchia di due anni – e che si continua a mantenere inalterata – già formulata al Ddl del Governo allora guidato da Romano Prodi. Niente sconti allora, niente sconti adesso, è la sostanza del ragionamento. Non senza far rilevare che nel frattempo deve esserci stato qualche corto circuito istituzionale, visto che una volta al mese la cosiddetta "commissione salute" delle Regioni si incontra col Governo. E in quelle occasioni di riforma della «governance sanitaria» mai s’è discusso.
Al Parlamento resta così l’amaro in bocca. Ora si cercherà di trattare, di ricucire, di trovare un’intesa. A farcela. Anche perché se il Governo non scucirà i fondi in più per il Ssn – almeno 7 miliardi dal 2010, chiedono i governatori – le Regioni resteranno sull’Aventino. E anche la «governance» può attendere. 

Il Sole 24 Ore del 20/03/2009   p. 17

AF

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