Dal rapporto 2015 emerge che il 75% dei macchinari è obsoleto, ma la spesa per investimenti è al palo perché i bilanci sono zavorrati dai debiti. Così risulta “annullato il beneficio del pareggio di bilancio”. Non c’è più spazio per economie e il sistema ricorre a “tattiche di razionamento” come l’allungamento delle liste d’attesa
Macchinari obsoleti, che hanno “esaurito il proprio ciclo economico e tecnologico”. Spazi di razionalizzazione “esauriti”, a dispetto della retorica sulle differenze di spesa eccessive, tra le diverse zone d’Italia, per le siringhe e tutti gli altri dispositivi medici. Conto economico in avanzo, ma al prezzo di una spesa perinvestments congelata perché sui bilanci pesano lossesconsolidate per 33,7 miliardi. E’ il quadro delle finanze del sistema sanitario nazionale delineato dal nuovo Rapporto Oasi(Osservatorio sulla funzionalità delle aziende sanitarie italiane) del Centro di ricerche sulla gestione dell’assistenza sanitaria e sociale (Cergas) e della Sda Bocconi. Il Ssn “raggiunge l’equilibrio di bilancio per il terzo anno consecutivo, anche nelle regioni storicamente in disavanzo“, spiega lo studio. “Ma aumentano i bisogni di salute non soddisfatti. Gli spazi per la razionalizzazione sembrano esauriti e la strada del razionamento presenta molti lati oscuri”.
Preoccupante la descrizione delle dotazioni degli ospedali pubblici: il 75% delle attrezzature è “vecchio e superato” ma “non essendoci denaro da investire continua a essere utilizzato”. Utilizzato poco, peraltro, perché “i macchinari sono troppo capillarmente distribuiti tra i presidi ospedalieri e finiscono per rimanere spenti troppo a lungo”. Se la spesa corrente del Servizio sanitario è di 1.800 euro l’anno per ogni cittadino, quella per investimenti è ferma a soli 60 euro. Questo perché, nonostante il conto economico sia “per il terzo anno consecutivo in lieve avanzo”, sul sistema pesano appunto i debiti pregressi: lo stato patrimoniale aggregato delle aziende è in rosso per 33,7 miliardi di euro (dato aggiornato a fine 2013). Secondo Francesco Longo, docente del dipartimento di Analisi delle politiche e management pubblico dell’ateneo milanese e curatore del rapporto, “un debito di queste dimensioni riesce ad annullare il beneficio del pareggio di bilancio, perché è foriero diricorsi amministrativi e cause civili, oltre ad assorbire tempo e risorse. Finché non si troverà una soluzione, il sistema è condannato a continuare a gestire il passato anziché il futuro”.
La spesa sanitaria pubblica risulta “sotto controllo”: tra il 2009 e il 2014 è cresciuta solo dello 0,7% l’anno, invertendo una tendenza che l’aveva vista crescere, tra il 2003 e il 2008, del 6% l’anno. Ne deriva però, stando al rapporto, che mentre il governo continua a limare le risorse a disposizione “gli spazi per la razionalizzazionedella spesa sembrano davvero esauriti” e “il sistema ricorre già troppo spesso a tattiche di razionamento“. Dall’allungamento delle waiting lists alla riduzione dei budget per i privati accreditati. Tattiche “che vanno a detrimento dell’efficienza”.
“La vera sfida – secondo Longo – è una riorganizzazione che consenta di fare fronte al cambiamento del quadro epidemiologico, il cui aspetto più dirompente è la crescita della cronicità. Il numero delle unità operative, ospedali in primis, dovrà inevitabilmente essere ridotto, per liberare le risorse necessarie alla cura dei cronici e degli anziani“. Al contrario, gli interventi messi in campo finora sono di tipo istituzionale e mirano a rivedere i perimetri aziendali piuttosto che a riprogettare i servizi.
Dal 2001 al 2015 le fusioni hanno ridotto il numero delle aziende da 330 a 244 (-26%) e altre aggregazioni sono in vista, ma la geografia dei servizi e i processi produttivi del settore si trasformano a un ritmo molto più lento. Le strutture ospedaliere che erogano prestazioni solo per acuti sono ancora 395, il 35% del totale, e la metà (198) ha meno di 100 posti letto. Al di sotto di questa soglia però, afferma il rapporto, si rischia di non avere una dotazione di tecnologia e di competenze e una casistica sufficiente per rispondere in maniera adeguata ai bisogni sanitari con sicurezza e qualità.
Buongiorno a tutti, si sente sempre più spesso parlare di prezzi standardt uguali per tutti.
Io diabetico per misurarmi la glicemia dal 2002 all’anno scorso usavo un tipo di strisce ed un tipo di macchinetta; l’anno scorso l’hanno ripiazzata con un’altro tipo e con diverse strisce pur della stessa casa farmaceutica; l’altro giorno in farmacia per errore mi consegnano un terzo modello di strisce utilizzabili per macchinetta diversa sempre della stessa ditta.
Domanda ma un centro diabetolgico non può optare per un’unico tipo di macchinetta e strisce reattive onde economizzare sulle forniture ?
Nel fine luglio del 1973 il solito governo balneare impose il blocco dei prezzi nei supermercati.
Cosa accadeva poi nella pratica: l’olio “A” non era più disponibile rimpiazzabile dal prodotto “B” più costoso che allungava la lista esposta al pubblico di prezzi nuovi “bloccati”; un po’ dopo il prodotto acquistabile era il “C” a prezzi sempre maggiori. Eccetera su ogni tipologia di prodotti e noi avevamo appena aperto il nuovo supercato il 10/7/73 con tantissimi prezzi tirati all’osso per acquisire fetta di mercato
Per il titolare fu un bagno nel dolore e cedette il punto di vendita alla catena del grossista fornitore,
Questo è il mio contributo di ricordi fra prezzi bloccati per legge ed andamento di mercato.
Nella Sanità nazionale serve molto raziocinio, volontà, onestà, e ridurre al minimissimo gli interventi delle “lobby”, chiamate pure “informatori scientifici”.
Ed: Il signore che si identifica con “Via Belvedere 3” ha poche idee ma molto confuse. Dovrebbe sapere che le cose di cui parla NON sono farmaci ma dispositivi e gli Informatori Scientifici del drug non c’entrano nulla. A meno che non si voglia incolpare gli informatori scientifici del farmaco di tutto ciò che accade nel mondo: terrorismo, furti, stupri, pedofilia, stragi, ecc..
Gli Informatori possono avere delle colpe, ma non sono e non sono mai stati una lobby (purtroppo), se li fossero stati non ci sarebbero stati 13.400 informatori licenziati fra il 2007 ed il 2012 nel più assoluto silenzio e indifferenza.