La gestione del rischio associato all’utilizzo del farmaco è una disciplina non pienamente esplorata, almeno nella letteratura accademica scientifica e manageriale italiana. Bisogna però riconoscere come l’impiego di questa particolare classe di presidi medici per la prevenzione e la tutela della salute, nonché la cura delle patologie, abbia un impatto non trascurabile su un modello olistico della gestione del rischio in sanità. Basti infatti riflettere sull’impiego di tali presidi medici in Italia e constatare come, in ogni famiglia, esista una piccola ma ben rifornita farmacia domestica (cfr. tabella 1). Ma cosa significa parlare di rischio legato all’utilizzo del farmaco? A questa semplice domanda non sembra esistere oggi una risposta esauriente e univoca. È però possibile classificare e raggruppare i possibili rischi derivanti dal farmaco, così da identificare possibili modelli di gestione integrata del rischio connesso alla presenza del farmaco all’interno del Sistema Sanitario. Filiera tecnologica del farmaco La prima area di rischio è senza alcun dubbio quella legata alla "Filiera tecnologia del farmaco", ovvero alla catena che conduce dalla idea progettuale di un nuovo principio attivo al suo utilizzo da parte del paziente. Rispetto a questa prima area di attenzione molti istituti sono adeguatamente presenti per ridurre in maniera considerevole le possibili aree di rischio. In tale ambito è anche possibile riconoscere importanti contributi derivanti da una sinergica relazione tra pubblico e privato (ricerca clinica, controllo del processo produttivo, valutazione dell’immissione in commercio tramite studi clinici, farmacovigilanza e studi di fase IV). Ci sarebbe ancora qualche cosa da fare per creare un meccanismo di gestione del rischio non solo reattivo, ma anche proattivo, destinato cioè non solo a presidiare le possibili aree di rischio, ma a creare un reale modello comportamentale basato su best practice? La rete di farmacovigilanza in uso è sufficiente? A queste domande possono offrire una prima risposta alcuni dati. Due regioni in Italia (Lombardia e Toscana) fanno registrare il 50% delle segnalazioni avverse nazionali. È evidente che rimane ancora molto da fare, almeno per uniformare sul territorio l’effettiva realizzazione di un meccanismo proattivo di contenimento e gestione del rischio. Il processo di comunicazione La seconda area di rischio sull’uso del farmaco è legata ai meccanismo di comunicazione, che dovrebbero innescarsi tra azienda, Sistema Sanitario e paziente. Ragionevolmente, si deve infatti constatare come nell’utilizzo stesso del farmaco sia insito un rischio. Rispetto a tale area di rischio è necessario peraltro fare un distinguo, ovvero separare il processo di comunicazione verso il paziente (utilizzatore finale del farmaco) e verso gli addetti alla somministrazione (professionisti del Sistema Sanitario). Nel primo caso, ovvero nel processo di comunicazione che vede come destinatario finale il paziente, si deve rilevare come un ruolo cruciale sia svolto dalla rete di farmacie territoriali presenti nel Paese. Le farmacie territoriali svolgono infatti un ruolo centrale e riconosciuto dal paziente in termini di struttura di consulenza per il cittadino. È soprattutto attraverso tale rete di professionisti prein particolare alla comparsa di reazioni avverse concomitanti con trattamenti in politerapia. Anche in questo caso, il costante scambio di informazioni legate ad eventi avversi rappresenta un solido strumento di riduzione e gestione del rischio. La domanda che deve essere posta è ancora una volta se tali meccanismi di prevenzione e gestione del rischio siano sufficienti o se, invece, possano essere evidenziate aree di miglioramento. Si rifletta su alcuni dati. Solo Toscana e Lombardia superano il gold standard dell’Organizzaz
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