Pharmaceutical research and stem cells: new hope or false myths?

Presso la sede dell’associazione Cultura e Sviluppo una conferenza sugli sviluppi e sui lati oscuri della ricerca scientifica e sulla controversa questione delle ricerche sulle cellule staminali mesenchimali. Ospiti i professori Silvio Garattini e Paolo Bianco

ALESSANDRIA – Il settore farmaceutico è da sempre oggetto di accesi dibattiti che ne mettono costantemente in discussione le procedure di ricerca, le finalità più o meno lucrative e l’esclusività di determinati studi scientifici.

Nella sede dell’associazione Cultura e Sviluppo giovedì 29 maggio si è discusso dei limiti e dei possibili miglioramenti nell’ambito della ricerca farmaceutica, analizzando poi la controversa questione che riguarda la legittimazione della ricerca sulle cellule staminali mesenchimali, caso emblematico degli ultimi mesi quello della Fondazione Stamina del professor Davide Vannoni.

A fare da relatori lo scienziato Silvio Garattini, farmacologo fondatore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri”, e il professor Paolo Bianco, ordinario di Anatomia Patologica e direttore del Laboratorio Cellule Staminali all’Università “La Sapienza” di Roma.

Il professor Garattini spiega che il modo in cui si sviluppa e si lavora attorno ad un farmaco è assai complesso, coinvolge interessi diversi, e rimane perennemente legato in modo ambiguo al mondo dell’industria farmaceutica. Industria che ha ben chiari i propri obiettivi, che rimangono quelli di vendere più farmaci possibili ai prezzi più alti. A tal proposito Garattini afferma che “nel settore farmaceutico esiste una gran perdita di denaro; vi è una forte dissociazione tra ciò di cui abbiamo realmente bisogno e ciò che viene prodotto e distribuito. La stragrande maggioranza dei farmaci immessi sul mercato negli ultimi 20/30 anni non ha rappresentato un progresso significativo”. La spesa per i farmaci continua ad aumentare (negli ultimi 30 anni è più che raddoppiata), così come le prescrizioni.

Il farmacologo aggiunge che “siamo in un sistema poco razionale, impazzito. E’ possibile comprendere lo stato delle cose solo tenendo conto dei grandi interessi che coinvolgono questo tipo di mercato. E’ tempo che gli accademici e le istituzioni prendano in mano la situazione per provare a cambiare le cose”.

Secondo Garattini sono indispensabili quattro fattori per migliorare la situazione: evidenza, etica, appropriatezza e legislazione. Evidenza, cioè avere le prove scientifiche secondo cui un farmaco porta effettivi e maggiori vantaggi rispetto ai rischi, comuni a tutti i medicinali; etica; ogni studio clinico, ogni sperimentazione, deve avere motivazioni rilevanti e “la pubblicazione deve essere indipendente dal risultato, ed anche i dati negativi dovrebbero essere resi noti”; appropriatezza, non si deve cioè far diventare medico ogni problema con l’unico obiettivo di prescrivere qualcosa; legislazione, ambigua perché condizionata dalle lobby delle multinazionali farmaceutiche.

Cosa dovrebbe cambiare? Garattini sostiene che per prima cosa gli studi sui pre-clinici sui farmaci non dovrebbero più essere segreti. “L’accesso ai dati consentirebbe di aumentare l’attenzione generale. Per approvare un nuovo farmaco oggi sono necessarie tre caratteristiche: qualità, efficacia e sicurezza. Altro parametro indispensabile, però, sarebbe il “valore terapeutico aggiunto”, che certifica il confronto con farmaci già in commercio. Oggi i dossier sono presentati dall’industria farmaceutica, è ovvio che vi sia un forte conflitto di interessi. Per avere maggiori garanzie sarebbe importante che negli studi clinici fossero coinvolti esclusivamente enti indipendenti”.

Il professor Bianco, coinvolto nei mesi scorsi nella polemica mediatica basata sull’effettiva utilità delle ricerche sulle cellule staminali della Fondazione Stamina rivolte alle malattie neurodegenerative, spiega che “per circa sessant’anni, l’argomento è rimasto un vezzo da accademici, qualcosa del tutto privo di una rilevanza applicativa. Oggi nel mondo almeno 50.000 persone ogni anno ricevono un trapianto di midollo osseo, che è la più chiara dimostrazione di cosa sia in grado di fare una cellula staminale, cioè sostituire un tessuto che si rigenera continuamente, per tutta la vita, per prendere il posto dei “progenitori”, rappresentati appunto dalle cellule staminali”.

In merito alle ricerche non approvate dai comitati scientifici il professor Bianco è molto critico, sostenendo che “se non esiste un un presupposto razionale o scientifico il valore di uno studio clinico può essere completamente fuorviante. Da un secolo a questa parte in tutto il mondo occidentale esistono non solo criteri di validazione ma anche misure legislative e agenzie regolatorie che fanno rispettare determinate procedure”.

Bianco aggiunge che vi è una carenza di nuovi farmaci perché la grande industria ha smesso di elargire investimenti, aprendo di conseguenza spazi di mercato inediti. “Le cellule staminali sono l’oggetto di questa nascente e diversa industria fatta di piccole e medie imprese che si dedicano allo sviluppo farmacologico. Quello che succede è che questi nuovi soggetti per diffondere la loro idea hanno bisogno di finanziamenti. I finanziatori impongono però scadenze di entrata sul mercato, facendo dei pazienti il loro strumento promozionale” ha proseguito il professore.

Bianco conclude dichiarando che “il rischio è che le cellule staminali, straordinario strumento di conoscenza, diventino nello stesso tempo uno strumento commerciale usato come cuneo per fare in modo di vendere ogni tipo di farmaco senza alcuna vigilanza. In questo modo si trasforma la medicina in una transazione di mercato”.

 

31/05/2014 – Alessandria News

 

Alessandro Francini – redazione@alessandrianews.it

 

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