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I medici di famiglia rivolgono un appello direttamente al Governo, affinché fermi “questi deliri regionali”, altrimenti i camici bianchi «saranno messi in condizioni di operatività veramente insostenibili, ma il risultato finale sarà che i cittadini, dopo aver pagato le tasse, dovranno rivolgersi alle assicurazioni private o sostenere direttamente le spese di assistenza, secondo un percorso ben studiato di progressivo smantellamento della sanità pubblica a favore di già predisposti e delineati attori privati, rispondenti unicamente a logiche di profitto».
Anche la Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Fnomceo) insorge contro l’emendamento e, a conclusione della prima riunione del nuovo Comitato Centrale, la squadra guidata da Roberta Chersevani (foto) esprime «una forte preoccupazione e contrarietà sui contenuti del documento pur nella consapevolezza della necessità di promuovere il valore dell’appropriatezza, così come è presente nel Codice Deontologico ed elemento fondante di equità e sostenibilità anche economica del nostro Ssn».
Oltre ai contenuti preoccupano i metodi e Chersevani ritiene necessario un coinvolgimento della professione su argomenti che la riguardano direttamente: «non si può pensare di conseguire l’appropriatezza imponendo per decreto modalità e percorsi che non coinvolgano – e da subito – i medici».
Anche la Federazione degli Ordini si dice convinta che i primi a essere penalizzati dai provvedimenti annunciati sarebbero i cittadini e proprio per questa ragione intende attivare una campagna rivolta proprio alla cittadinanza.
Renato Torlaschi – Sabato, 18 Aprile 2015 – Doctor33
Allarme Sanità, Scotti (Ordine medici): «Un ricatto legalizzato per tagliare l’assistenza ai cittadini»
Tutto nasce dal documento di programmazione economico finanziaria con il quale il Governo ha ridotto il budget delle regioni di 2 miliardi e 500 mila euro. «Un buco – spiega Silvestro Scotti – che i “ragionieri di stato”, ovvero i funzionari regionali, intendono colmare tagliando sulla sanità. E questo non lo scopriamo oggi, tant’è che da tempo medici e cittadini ne stanno pagando le conseguenze». Ora però è stato presentato un emendamento che mira ad una variazione della legge sulla inappropriatezza delle prescrizioni, determinando di fatto una responsabilità patrimoniale dei medici di medicina generale.
«Qui non si tratta più di tagliare gli sprechi – dice Scotti -, di fatto si è trovato il modo di ricattare i medici, che non prescriveranno se convinti quella ricetta sia appropriata, ma se convinti che sia valutabile come appropriata. Ma chi deciderà cosa è appropriato e cosa non lo è? E con quali criteri lo deciderà? La verità è che l’appropriatezza non sarà valuta sul caso concreto, bensì su costi standard e statistiche. Io mi rifiuto di considerare un paziente come un costo. I medici giurano di curare secondo scienza e coscienza, non di curare solo se non costa troppo».
Silvestro Scotti non si tira indietro neanche nel dire quali saranno le implicazioni di questo emendamento, se approvato, anche sul versante sanitario. «Ciascun medico prescrittore – spiega – movimenta in media 700 mila euro l’anno, solo con le prescrizioni di farmaci. Si arriva a circa 2 milioni di euro con le prestazioni diagnostiche. E in molti casi sono accertamenti che vengono richiesti da altri specialisti. Dunque, la possibilità di essere chiamati a rispondere per cifre esorbitanti a fronte di un guadagno annuo di circa 50 mila uro, che è quanto in media guadagna un medico di medicina generale».
Se questa valutazione ragionieristica dovesse prevalere, in una regione come la Campania il rischio di lasciare senza cure pubbliche una grande fetta della popolazione è concreto. Di qui l’appello del presidente Silvestro Scotti alla politica: «Sono fiducioso che il presidente Stefano Caldoro, come ha già dimostrato di voler fare, si opporrà a questa soluzione. Ha la sensibilità e le competenze per comprendere che se questa è la “cura” agli sprechi, si rischia di “uccidere” il paziente. Ci sono altri modi e altre strade per essere virtuosi. Non costruiamo una sanità, come avviene in altri paesi, nella quale i medici prima di curare il malato gli chiedono se ha un’assicurazione sanitaria».
sabato 18 aprile 2015 – il Mattino.it