12 giugno 2014 – Cervelliamo
Da qualche anno, ormai, in farmacia si assiste al seguente dialogo:
“Signor Gialli, il suo medico le ha prescritto un farmaco su cui dovrà pagare un certo ticket, ma se vuole ne esiste anche una versione generica che non le comporta nessuna spesa.”
“Ma è uguale al mio?”
“C’è dentro lo stesso principio attivo allo stesso dosaggio, quindi è esattamente uguale al suo.”
Il paziente molto spesso si lascia convincere, poi però torna a casa, osserva quella scatoletta così diversa da quella cui è abituato e, seppur a malincuore, prende la “nuova” medicina e molto spesso dopo un paio di giorni torna dal suo medico dicendo che ha l’impressione che quella medicina non funzioni come l’altra che ha sempre preso, e che vuole una nuova prescrizione per poter finalmente prendere la sua solita pillola.
I farmaci, come tutte le cose che presentano una loro unicità, sono soggetti a brevetto. I brevetti, però, non sono eterni e dopo un certo numero di anni scadono e quella cosa che era protetta dal brevetto e che quindi non poteva essere prodotta da nessun altro se non il proprietario del brevetto stesso, può essere a questo punto prodotta liberamente da chiunque. La stessa cosa vale per i farmaci. La legge stabilisce, però, che un farmaco generico deve essere “bioequivalente” al prodotto originario. Cosa significa questa parola? In poche parole che biologicamente deve fare lo stesso effetto.
E poco importa se c’è una piccola differenza di composizione. Molte volte gli informatori scientifici ci vengono a dire che è un rischio per la salute del paziente prescrivere farmaci che sono lie