Oggi noi medici, o almeno quelli che hanno cura di farlo, ci aggiorniamo in tempo reale sulla rete. L’“effetto Dunning-Kruger” (http://it.wikipedia.org/wiki/Effetto_Dunning-Kruger) fu inizialmente teorizzato da Darwin che diceva che “L’ignoranza genera fiducia più spesso della conoscenza”
Non c’è aspetto della vita dell’uomo che non sia stato rivoluzionato dall’avvento di Internet. Usiamo la rete per interagire con gli amici, per ascoltare musica, per guardare un film, per pagare le tasse, per informarci e come passatempo. Anche nel campo della medicina la rete ha avuto un impatto formidabile. Ricordo quando, studente alle prese con la tesi di laurea, consultavo con fatica i libroni dell’Index Medicus per poi passare all’avventurosa ricerca dei lavori scientifici che iniziava con il pellegrinaggio nelle varie biblioteche e si concludeva, spesso in modo infruttuoso, con l’invio all’autore di una cartolina postale con la richiesta di una copia della pubblicazione.
Oggi noi medici, o almeno quelli che hanno cura di farlo, ci aggiorniamo in tempo reale sulla rete. Riceviamo sulla posta elettronica i “table of contents” delle riviste di maggior interesse e, grazie al governo federale degli Stati Uniti, abbiamo libero accesso a banche-dati che censiscono la letteratura bio-medica (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed) o gli studi clinici sui farmaci più innovativi (www.clinicaltrials.gov). La rete ci consente di scaricare i lavori scientifici in formato PDF dai siti delle riviste, assistere dalla nostra scrivania a conferenze o lezioni, compilare cartelle cliniche elettroniche, monitorare a distanza i pazienti grazie ai progressi della “tele-medicina”. E nella pratica clinica quotidiana affidiamo alla ricerca su Internet i nostri dubbi e le nostre incertezze e cerchiamo conferme prima di assumere una decisione cruciale di diagnosi o di terapia. Eppure, questa enorme semplicità d’accesso alle informazioni non ci pone affatto al riparo da errori o da complicanze perché, checché ne pensino certi soloni della Cassazione, la prestazione medica è “obbligazione di mezzi e non di risultato”. Proprio come quella di un avvocato che non può avere l’obbligo di far assolvere il suo assistito ad onta di ogni prova a carico.Ovviamente, la ricerca di informazioni mediche sulla rete non è riservata ai professionisti. Anzi, il rapporto Censis 2014 sulla situazione sociale del Paese indica che questa pratica coinvolge regolarmente circa il 42% degli italiani, un dato che esprime in parte quel cambiamento dei rapporti tra paziente e medico di cui abbiamo quotidiana contezza nelle corsie e negli ambulatori. Ma mentre è naturale che si cerchino sul web informazioni utili a capire meglio le indicazioni del proprio medico (58% dei casi) o verificare la diagnosi (55%), mi terrorizza quel 20% di pazienti (o dei loro familiari) che contestano l’esattezza di diagnosi e terapie o che addirittura assumono decisioni terapeutiche autonome in base alle informazioni reperite su internet. Intendiamoci, trovo più che benefico un sano bagno di umiltà da parte di coloro che si ammantano della propria auto-referenzialità e che sempre più spesso si trovano spiazzati di fronte alle obiezioni e alle domande pertinenti dell’interlocutore informatizzato. Tuttavia, appare molto pericolosa questa deriva autonomista che esprime appieno l’erosione di un rapporto che nasce come fiduciario e che non può prescindere dal pieno riconoscimento del valore della competenza e dell’esperienza.Come ripeto spesso ai miei allievi: “La medicina è per metà conoscere e per metà riconoscere”. Ogni medico è la sintesi tra due processi dinamici in continua evoluzione: ciò che sa o sa fare e ciò che ha già vissuto e che ricorda. E il buon medico è colui che, non soltanto si sforza quotidianamente di coltivare il proprio patrimonio di dottrina e di tecnica, ma che è anche capace di richiamare da un cassettino della propria memoria un’esperienza passata per risolvere il problema clinico che fronteggia in quel momento. Mi sfugge come si possa avere la presunzione di assumere decisioni talora cruciali cercando alla rinfusa informazioni spesso prive di fondamento scientifico e non essendo dotati né di dottrina, né di esperienza. Non conoscendo e non sapendo riconoscere.Questo pericolosissimo modo di agire, frutto dell’inconsapevolezza della propria incompetenza che proprio nella stessa incompetenza trova fondamento, è denominato “effetto Dunning-Kruger” (http://it.wikipedia.org/wiki/Effetto_Dunning-Kruger) e fu inizialmente teorizzato da Darwin che diceva che “L’ignoranza genera fiducia più spesso della conoscenza”. Eppure forse, a pensarci bene, non c’è neppure bisogno di scomodare gli scienziati per capire appieno l’ambivalenza di ogni strumento creato dall’uomo, internet incluso. A me basta citare mia nonna e ripensare al suo coltello, quello con cui: “Puoi tagliare il pane ai tuoi figli oppure uccidere un uomo”. E con un uso improprio del “coltello internet” in campo medico la morte può essere davvero “a portata di click”.