WHEN THE DOCTOR IS TOO STRESSED

Seguire le orme dei genitori nella scelta del lavoro? Neanche per sogno. Sei medici americani su dieci non raccomanderebbero ai giovani di intraprendere la propria carriera. È il risultato di un’indagine condotta dalla Physiciam’ Foundation, che riunisce venti associazioni mediche nordamericane, su dodicimila medici di medicina generale negli Stati Uniti. La principale lamentela dei medici di famiglia riguarda il sovraccarico di lavoro, dovuto alla carenza di colleghi. Oltre il 9 0 per cento dei medici si lamenta dell’eccessivo tempo trascorso dietro a pratiche burocratiche, che nel 63 per cento dei casi si traduce in minor tempo dedicato ai propri assistiti. Per questi motivi, un medico USA su cinque pensa di ridurre il numero dei propri pazienti, uno su quattro punta al part-time o ad altre misure per diminuire il carico di lavoro e uno su dieci pensa addirittura di lasciare la medicina. Negli Stati Uniti, dove il problema dell’accessibilità alle cure mediche per le persone con limitata disponibilità economica è stato denunciato, con un umorismo amaro e commovente al tempo stesso, dal regista Michael Moore (Sicko, 2006), si sono costituite associazioni di "medici di medicina generale di lusso" (Luxury Prìmary Care Medicine o LPCM), alle quaJi si possono iscrivere, pagando diverse migliaia di dollari all’anno, solo i pazienti più facoltosi. Se questo garantisce ai medici una migliore qualità del lavoro, e ai loro assistiti una maggiore attenzione da parte dei curanti, non manca chi, come Troyen Brennan, docente di politica sanitaria alla Harvard School of Public Health di Boston (Massachusetts), ha sottolineato che scartare i pazienti meno abbienti in una logica mercantile rappresenta un comportamento contrario ai principi etici della medicina. In Italia, come in Francia o in Gran Bretagna, il Servizio Sanitario Nazionale è ispirato al principio di equità, garantendo così un livello di assistenza sanitaria per tutti i cittadini che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha giudicato essere ai primi posti nel mondo; anche nel nostro Paese, tuttavia, non mancano le situazioni in cui l’atteggiamento del medico nei confronti del malato può variare a seconda che si tratti di un paziente pagante o meno. Per di più l’aumento del numero di analisi e di esami tecnologici, se ha apportato notevoli progressi alla medicina dal punto di vista diagnostico e terapeutico, ha ridotto lo spazio dedicato al colloquio e all’incontro tra medico e paziente. L’accento posto sugli aspetti biologici della professione medica ha parzialmente sminuito l’importanza del rispetto e dell’empatia, indispensabili nel rapporto con una persona malata, soprattutto se la malattia è grave. La formazione dei medici presenta notevoli mancanze sotto questo profilo, come scriveva, già nel 1972. Giulio Maccacaro, pioniere dell’epidemiologia in Italia, stigmatizzando l’abitudine, radicata nelle cliniche universitarie, di delegare sempre "allo specializzando, allo studente interno, all’ultimo arrivato" la raccolta della storia clinica dalla voce viva dei pazienti (anamnesi). E se Bruce Newton, professore di neurobiologia alla University of Arkansas for Medicai Sciences di Little Rock (Arkansas), ha parlato di un «indurimento del cuore durante gli studi di medicina». Duncan Geddes, del Royal Brompton Hospital di Londra, ha scritto che «mentre gli eventi avversi a un farmaco sono di solito transitori. una consultazione malamente condotta può fare un danno duraturo». * Psichiatra, Serv. Psichiatrico Diagnosi e Cura, Viterbo 

La Repubblica Salute del 19/03/2009 , articolo di Francesco Cro*  N.615 – 19 MARZO 2009  p. 40 

AF

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