La pubblicità dei farmaci è un buon affare, altrimenti le industrie farmaceutiche non vi investirebbero tanto. Nel 2004, ad esempio, negli Usa si sono venduti farmaci per 235,4 miliardi di dollari, ma le industrie farmaceutiche hanno speso per promuovere i loro prodotti ben 57,5 miliardi di dollari: il 24% di quello che hanno incassato. Per la ricerca e lo sviluppo di nuove molecole si è speso molto meno: il 13,4%.
Gli Stati Uniti sono, assieme alla Nuova Zelanda, gli unici due paesi al mondo in cui è possibile fare pubblicità ai farmaci per i quali serve la prescrizione medica rivolgendosi direttamente ai consumatori. In Europa questa pubblicità è espressamente vietata. Ma qualcosa potrebbe cambiare per volontà della Commissione europea. La preoccupazione è emersa durante un convegno organizzato la settimana scorsa a Verona dall’International Society of Drug Bullettins (Isdb), una rete internazionale di riviste che si occupano di farmaci ma che sono indipendenti dalle industrie farmaceutiche.
La storia inizia da lontano. Nel 2003 il Parlamento europeo bocciò sonoramente la proposta di eliminare il bando alla pubblicità diretta dei farmaci con obbligo di prescrizione. Ma la Commissione Europea, e in particolare la Direzione generale Impresa e Industria, ha cominciato a dare vita a una serie di consultazioni pubbliche su questo tema. L’ultima di queste consultazioni è partita a febbraio scorso e si è conclusa il 7 di aprile. La Commissione, partendo dalla constatazione che non tutti i cittadini europei hanno accesso a un’informazione affidabile e di buona qualità sui farmaci, pensa che si debba uniformare questo panorama. Per fare questo ha chiesto ai cittadini interessati di esprimersi su alcune proposte per regolamentare questo settore. L’idea di fondo è quella di permettere alle industrie farmaceutiche di fare informazione sui loro prodotti attraverso la televisione, la radio, materiale scritto e audiovisivi dati direttamente ai consumatori o tramite i medici di famiglia.
«Il documento – dice Maria Font, presidente dell’Isdb – però non fa accenno ai confini tra pubblicità e informazione. Inoltre non ammette i confronti fra medicinali che hanno le stesse caratteristiche terapeutiche». Un’informazione corretta ai pazienti – dicono all’Isdb – dovrebbe aiutare a valutare esattamente il proprio stato di salute, a capire quali trattamenti esistono, a valutare i pro e i contro, a scegliere tra differenti opzioni. Ma tutto questo non è possibile senza mettere a confronto i diversi farmaci. E, soprattutto, non è possibile se chi dà le informazioni è chi deve vendere i prodotti. Stimolando la domanda per nuovi farmaci, infatti, dsi rischia di mettere sul mercato prodotti prima che ne sia stata valutata l’efficacia e la sicurezza. Il rischio dunque è che, nonostante si dica esplicitamente che non si ammette la pubblicità diretta dei farmaci, si faccia a tutti gli effetti pubblicità.
E chi pensa di essere immune dall’influenza del messaggio pubblicitario dovrebbe ascoltare Peter Mansfield, direttore di Healthy Skepticism, un’organizzazione no profit che si occupa della promozione farmaceutica: «In uno studio condotto negli Stati Uniti hanno chiesto ai medici quanta influenza avevano gli informatori farmaceutici sulle loro prescrizioni. Il 61% ha risposto: nessuna. Ma quando hanno chiesto agli stessi medici quanta influenza avevano gli informatori farmaceutici sulle prescrizioni fatte dai loro colleghi, la loro risposta è cambiata. Il 51% ha detto: molta».
«Entro la fine dell’anno – spiega Font – 135 deputati della commissione "ambiente sanità pubblica e sicurezza alimentare" dovranno votare questa proposta legislativa al Par