La vicenda oggetto della sentenza del Tribunale di Busto Arsizio ebbe inizio con l’accusa di un presunto sistema di corruzione a cui informatori della Sandoz, di proprietà della Novartis, sarebbero ricorsi per spingere la prescrizione di Ormitrope.
Lo scandalo degli ormoni ha riempito le pagine dei quotidiani per poi affievolirsi con il passare del tempo.
A ottobre 2012 sulle pagine dei maggiori quotidiani nazionali viene riportata la notizia dello scandalo degli ormoni. I Nas di Bologna, nel corso di un’indagine sul doping sportivo, scoprono un presunto sistema di corruzione messo in piedi dalla Sandoz per spingere la vendita di due farmaci: si tratta dell’Omnitrope, ormone della crescita con il principio attivo della Somatropina, e il Binocrit, farmaco che fa aumentare la produzione di globuli rossi, entrambi utilizzati anche come anabolizzanti e considerati sostanze dopanti.
Medici pubblici e privati di 40 ospedali in 18 Regioni erano stati accusati di aver percepito soldi e regali per prescrivere i farmaci ai bambini, con dosaggi che potevano arrivare in qualche caso al doppio del normale. Dalle carte era emerso una sorta di “tariffario”, con cifre di tutto rispetto, da 5mila euro fino a 30mila euro a medico. Soldi ma non solo. Tra i benefit si contavano vestiti di marca, viaggi di lusso, iPad e altro per un totale di 500mila euro.
Il denaro sarebbe stato dato sotto diverse forme, come il pagamento per falsi studi clinici o lezioni di aggiornamento mai tenute. Spuntarono viaggi in hotel di lusso nel Principato di Monaco con consorte a seguito, conferenze a New York e si arriva a jeans e felpe di marca. Lo stesso nome dell’indagine, Do ut des, chiarisce il metodo: a più prescrizioni sarebbero corrisposti più soldi e regali.
Uno dei punti dell’inchiesta riguardava il coinvolgimento della Sandoz, di proprietà della multinazionale del farmaco Novartis. Nell’ottobre 2012 spuntano sul sito piemonte.indymedia.org (oggi oscurato per ordine del Tribunale, in merito però a un’altra indagine) documenti dell’azienda con cui vengono licenziate in tronco 12 persone tra informatori scientifici e dirigenti.
In un memorandum, datato 7 febbraio 2012, si leggono chiaramente le cifre pagate a ogni medico e i conseguenti provvedimenti disciplinari: la Sandoz avrebbe saputo quello che accadeva e avrebbe così agito al suo interno arrivando a licenziare i suoi collaboratori. Il documento cita alcuni passaggi dell’inchiesta incrociati con i dati amministrativi e contabili aziendali.
Le perquisizioni effettuate dai Nas hanno portato alla luce delle lettere, datate 2012, in cui il colosso farmaceutico contestava “la condotta illecita”: le missive però sarebbero state scritte dopo che le perquisizioni avevano “allertato” i vertici societari sull’inchiesta in corso. La Sandoz ha poi emesso note ufficiali in cui ha sottolineato di “avere collaborato appieno con le autorità nel corso dell’inchiesta e di avere intrapreso severe azioni disciplinari nei confronti dei dipendenti coinvolti”. Dal quadro delle indagini sarebbe emersa una consapevolezza dell’azienda farmaceutica che sapeva cosa era accaduto tra il 2008 e il 2009, prendendo provvedimenti nel 2012.
What doesn't add up, in the words of the former fired scientific informants, is that Sandoz knew everything from the beginning.
“There were considerable pressures. We were the last to arrive in a market that in Italy belongs to the 97% to other companies and the sale was pushed”, a Sandoz informant told RSI's Mario Casella and Marco Tagliabue last year. “It is not the informant who has the means to economically manage a multinational company. Consultations for doctors, contributions to departments, everything is evaluated in detail by an internal committee, the SP3, which is attended by top management and the company lawyer who then endorses everything”, ha ricordato, sottolineando come il collegamento tra la sede italiana e quella europea è sempre stato costante.
Le accuse erano pesanti: dall’associazione per delinquere, alla corruzione, istigazione alla corruzione, distribuzione e somministrazione di farmaci in modo da arrecare pregiudizio alla salute pubblica, concussione, frode ai danni del Servizio Sanitario Nazionale, falsità in atti, comparaggio.
Nella sua requisitoria il pubblico ministero Giuseppe D’Amico ha chiesto l’assoluzione per tutti gli imputati dopo aver smontato pezzo per pezzo l’indagine svolta dal sostituto procuratore Mirko Monti e dai carabinieri del Nas di Bologna e di Busto Arsizio nel 2012: le accuse non sarebbero supportate da adeguate indagini per dimostrare i reati contestati.
Al termine delle discussioni da parte dei numerosi avvocati il collegio giudicante ha emesso la sentenza che chiude questa vicenda, denunciata dalla stessa casa farmaceutica che nel frattempo ha licenziato tutti coloro che sono rimasti coinvolti nel procedimento.
In questa vicenda dobbiamo registrare alcune incongruità. La stessa Sandoz ad un certo punto ha denunciato il caso di comparaggio, scaricando tutte le colpe sugli ISF. Dobbiamo quindi ritenere, nonostante la sentenza, che il fatto è avvenuto. E se il fatto è avvenuto le colpe non possono certo ricadere sugli ISF i quali non hanno nemmeno i mezzi materiali e finanziari per poterlo fare.
Prima ancora di essere condannati, gli ISF hanno assistito inermi ed umiliati alla perdita del posto di lavoro, perché le aziende offrono immediatamente dei capri espiatori per dimostrare che sono ligie alle prescrizioni della 231/01 [vedi nota sotto]
Diversamente da quando questi spiacevoli avvenimenti vedono coinvolti i Dirigenti aziendali per i quali scattano tutte le garanzie del caso per cui venendo, legittimamente, ritenuti innocenti fino a definitivo giudizio, vengono semplicemente sospesi con decorrenza dello stipendio e garantiti da avvocati di fama pagati dall’azienda.
Nonostante le confessioni, il Tribunale ha comunque assolto tutti, compresi gli ISF. Ora ci aspettiamo che tanta solerzia da parte dell’azienda si traduca in una rapidissima riassunzione degli ISF ingiustamente licenziati e venga loro corrisposto un adeguato risarcimento.
Redazione Fedaiisf – 23/05/2017
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Note: L'art. 5 of the Legislative Decree 231/01 dice che l’azienda è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio (comma 1). non risponde però se le persone indicate nel comma 1 hanno agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi (comma 2).
TOll’azienda incombe l’onere, con effetti liberatori, di dimostrare di aver adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del reato, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi (Cassazione). Il modello prevede, in relazione alla natura e alla dimensione dell’organizzazione nonché al tipo di attività svolta, misure idonee a garantire lo svolgimento dell’attività nel rispetto della legge con una verifica periodica e con un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.
In pratica l’azienda presenta agli ISF un documento che gli ISF stessi devono sottoscrivere in cui dichiarano che l’azienda ha loro comunicato la legge sulla responsabilità e che se vengono a conoscenza o sono indotti da un superiore ad un illecito devono denunciare la cosa alla “policy” aziendale.
È abbastanza intuitivo che l’ISF, soggetto debole, firmerà una dichiarazione del genere sapendo bene, l’azienda, che mai l’ISF farà denuncia di alcunché temendo ovvie rappresaglia aziendali o il licenziamento. In sostanza una presa in giro per garantire l’impunità ai veri responsabili, scaricando le colpe su capri espiatori da offrire in pasto al pubblico ludibrio.