Il 16 Novembre scorso, presso il centro congressi “Frentani” di Roma, si sono riuniti 30 Informatori Scientifici del Farmaco, rappresentanti sindacali eletti, in qualità di RSU, dai lavoratori di varie aziende farmaceutiche. Provenienti da tutta Italia, fanno riferimento alle tre sigle confederali (Femca-CISL, Filctem-CGIL, Uilcem-UIL) firmatarie dell’ipotesi di rinnovo del CCNL del comparto chimico-farmaceutico, attualmente in corso di approvazione.
Il tema della discussione è stato di interesse generale in quanto, nella citata ipotesi di rinnovo contrattuale, si trasformano radicalmente le mansioni dell’ Informatore Scientifico del Farmaco in una direzione marcatamente commerciale. Non più un servizio di informazione corretto sull’uso dei medicinali ma una esplicita attività di vendita (e di aumento incontrollato dei consumi).
I “30 del Frentani” numericamente rappresentano un grande successo, considerata la peculiarità in cui si svolge l’attività degli ISF. Lavorano in zone scollegate tra loro, in forma individuale e per conto di aziende che tentano di imporre una forte competitività reciproca. La necessità di un coordinamento nasce da una forte preoccupazione a causa dei rischi ai quali la categoria andrà incontro qualora l’ipotesi di rinnovo contrattuale dovesse essere approvata nella sua stesura attuale (peraltro, già oggi la situazione è difficilmente gestibile a causa delle contraddizioni tra disposizioni di legge e contrattuali).
L’Informatore Scientifico del Farmaco deve assicurare una alto grado di professionalità e competenze e rispondere a precise e complesse disposizioni normative (oltre al CCNL la professione è regolamentata da varie leggi nazionali e regolamenti regionali) che, contrariamente a quanto comunemente si crede, ne impediscono la deriva commerciale.
Un ISF “NON commerciale” è garanzia di un corretto servizio di informazione preso gli operatori sanitari finalizzato ad un equo ed appropriato uso e consumo dei medicinali (che, per ovvie ragioni, non possono e non devono essere assimilati ai comuni prodotti commerciali) a tutto beneficio del “bene salute” dei pazienti e, in ultima istanza, del contenimento dei costi generali relativi alla spesa sanitaria (basti pensare alla riduzione del rischio di effetti collater