Ci si sta avviando ad una privatizzazione silente, ma senza fare chiarezza. Il tribunale per i diritti del malato chiede di emendare l’art 34 del patto di stabilità “senza mettere le mani sulla sanità pubblica”.
Monica Soldano – lun. 16/11/2015 – 100 Passi
Quando si parla di sanità pubblica in Italia molti si alzano in piedi e sembrano voler intonare l’inno di Mameli. La sanità pubblica, universalistica, pagata con la fiscalità generale è un brand made in Italy, come gli spaghetti e la pizza, a cui i nati dal dopoguerra in poi non vorrebbero mai rinunciare. Nel 2011 perfino i valutatori dell’OCSE ci avevano giudicati ad un buon livello, pur spendendo l’Italia nella sanità un punto percentuale in meno (9,1%) rispetto alla media europea (10,3%). Oggi, invece, nel patto di stabilità i sogni rischiano di restare nel cassetto, quando i denari scarseggiano, la corruzione continua a brandire colpi duri e risanare stanca. Cambiare e capovolgere il principio, invece, potrebbe essere più facile, da qui la tentazione di farlo davvero.
Il patto tradito
Nel 2014 il patto sulla salute, siglato con il governo sembrava averci fatto tirare un respiro di sollievo, perché si era deciso che i quattro miliardi ritrovati andassero reinvestiti nella sanità. La promessa è stata tradita. Il patto di stabilità come una mannaia ha decurtato i 113 miliardi di 2 miliardi di euro, diventati poi 111 miliardi, di cui 800 milioni per il personale e 300 milioni per i vaccini, in totale resterebbero solo 110 miliardi da spendere per il 2016. Il Tribunale per i diritti del malato di Cittadinanzattiva chiede di entrare al tavolo della commissione dei quindici che sta lavorando sull’aggiornamento dei Lea, i livelli essenziali di assistenza, fermi al 2011, ma ad oggi nessuna risposta. Solo otto regioni sulle sedici monitorate, per la prima volta secondo una griglia di fattori, dal ministero della Salute, hanno superato la prova dei Lea. Quelle meno virtuose, che non sono riuscite ad erogare i servizi minimi, pur avendo fatto quadrare i conti, saranno penalizzate e non riceveranno il fondo nazionale, ma dovranno contribuire alla finanza pubblica. Decidere la modalità, deve essere fatto ascoltando i cittadini, senza metterli ancora una volta a dura prova, ha chiesto Tonino Aceti, il coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato, alla presentazione del Rapporto Pit salute, venerdì scorso, a Roma. Si stanno facendo degli errori. Il decreto sugli esami inutili, da non ripetere, non tiene conto dell’appropriatezza clinica. Le tabelle sono rigide e possono soddisfare solo i conti, l’aspetto finanziario, ma il contenzioso medico-paziente aumenterà, sviluppando la medicina astensiva, conferma Tonino Aceti. La questione politica attualissima è, quindi, cercare di capire chi cerchi le soluzioni in politiche di un tipo e chi di un altro e su questo, dovrebbe potersi esprimere, come chiede Cittadinanazattiva anche il parere di chi conosce i bisogni e li rappresenta.Una cosa è chiara: la salute e la sanità non sono nelle priorità dell’agenda politica. Nel 2016 il livello di finanziamento era stato fissato a 113 miliardi di euro, decurtato di 2 miliardi rispetto al patto della salute siglato nel 2014, la legge di stabilità ha poi fissato il tetto a 111 miliardi,di cui restano 110, al netto della spesa per il personale (800 milioni) e per i vaccini (300 milioni). Modifiche in pochi mesi che portano ad una unica soluzione: accrescere i livelli di compartecipazione alla spesa per la salute. Non ci sono i soldi per i farmaci innovativi (anche se occorrerebbe capire meglio cosa intendiamo per innovativi), non si possono rifinanziare esami diagnostici, farmaci per malattie rare, gli oncologici.
I punti di vista dei politici
“La sensazione forte è che ci si stia avviando ad una privatizzazione silente, ma senza fare chiarezza”. Ha dichiarato la deputata Marisa Nicchi di Sel, alla presentazione del rapporto Pit salute del Tribunale per i diritti del malato e Cittadinanzattiva, venerdì scorso alla Camera dei Deputati a Roma. Il patto tra Stato e cittadini si sta unilateralmente rompendo, a nostra insaputa? Ha toni accesi e netti Giulia Grillo, deputata del Movimento 5 stelle. “Non occorre essere ideologici, ma solo logici”, sottolinea. Se vogliamo un sistema universalistico pubblico come per anni ci ha descritto la legge 833 dobbiamo evitare che il meccanismo ci porti a rendere più competitivo il privato, perfino nei prezzi. Se, invece, vogliamo un sistema basato sulle assicurazioni private, dobbiamo liberare i cittadini da una fiscalità così onerosa e lasciarli liberi di scegliere. Oggi, invece si fa pagare al cittadino la sanità pubblica per spingerlo di fatto verso quella privata, tornando a mettergli le mani in tasca. Per l’onorevole Grillo c’ è una metodologia evidente che punta dritto allo stravolgimento del sistema sanitario universalistico. Si parte dai tagli, si creano inefficienze per carenza di personale e di servizi, si rincarano le prestazioni, rendendo competitivo il privato. Si sposta la domanda, oltre che l’offerta ed il gioco è fatto! A questo si aggiunga il grande tema della spesa farmaceutica ed i farmaci che vengono venduti all’estero dal distributore, mentre in Italia non si trovano, soprattutto quelli più innovativi. La burocrazia dell’approvazione dei farmaci è così farraginosa che a causa della moltiplicazione dei decisori, i distributori preferiscono vendere all’estero. Questa l’accusa della deputata grillina.
L’ attesa di un riordino degli organi della sanità
L’attesa riforma per il riordino degli organismi della sanità, dall’Agenzia del farmaco, l’ Aifa, all’agenzia Nazionale di Sanità, Agenas, passando per i poteri decisionali e di spesa del defraudato ministero della Salute sono rinviati a data da destinarsi. In questo modo tutto il gioco torna ad ingarbugliarsi tra le regioni, che talvolta travalicano le loro competenze ed ministero della Salute, che resta subalterno a quello dell’Economia, che ribadisce, inappuntabile, il sistema dei tagli orizzontali, talvolta verticali, purchè si fermi la spesa, lasciando la sanità dei servizi al suo destino. Le regioni, poi, devono contribuire alla finanza pubblica con 3,3 miliardi, ma l’intesa deve essere costruita sul come fare, ecco perchè Tonino Aceti chiede di emendare l’art 34 del patto di stabilità “senza mettere le mani sulla sanità pubblica” e reclama di co valutare i meccanismi e quale sia il livello minimo perché non restino scoperti i diritti essenziali. Se le Regioni poco virtuose non riescono ad assicurare i livelli essenziali di assistenza, devono prendere i soldi da altro, rivedere l’assetto generale, ma non mettere più le mani in tasca ai cittadini, sostiene Aceti.
La sanità vista dai cittadini, i dati del rapporto Pit Salute
Da 17 anni il Tribunale per i diritti del malato scrive il suo rapporto. Si chiama Pit salute, è una relazione sulla percezione dei cittadini quando accedono al servizio sanitario nazionale. Quest’anno dal 1 gennaio al 31 dicembre 2014, le segnalazioni sono state 24.016 raccolte da 330 sedi. Il racconto inquadra l’Italia della sanità in modo approfondito, drammatico, ma realistico. Le voci sempre quelle come un leit motiv che si ripete: l’accesso, i tempi, i costi e dunque la efficienza e la qualità, nella percezione del malato. Ognuno di noi si potrebbe riconoscere e vedere dai numeri il racconto della sua storia. Ma in tanti anni non è proprio uguale a se stessa, perché la storia si evolve. L’Italia è cambiata: aumenta la popolazione anziana, i malati oncologici, i malati psichiatrici, la demenza, la cronicità in generale, e, dunque, occorre riorganizzare tutto in base ai bisogni, questo è chiaro. In un anno, aumentate del 2% le segnalazioni sulla difficoltà di accesso, così per l’attesa degli esami diagnostici (36,7%) o per gli interventi chirurgici. Per i quali l’attesa più lunga è nell’ ortopedia (27,5),seguono la chirurgia generale (19,5) e l’ oncologia (11,5%). Peggiorata la qualità delle strutture, scarso l’aggiornamento tecnologico dei macchinari. I presunti errori terapeutici sono stati segnalati soprattutto in ortopedia, chirurgia generale ed oculistica, quelli diagnostici in oncologia, ortopedia e ginecologia. Peggiora anche il personale, c’ è piu disattenzione secondo i cittadini, lo segnala l’ 1,8% in più rispetto al 2013. Agli ospedali, poi, si attribuisce di aver provocato il 3,8% delle infezioni insorte. Insomma, un quadro rabbuiato soprattutto alla luce dei costi a carico del cittadino che sono aumentati e che rischiano di far preferire il settore privato, divenuto competitivo perfino rispetto alle tariffe dei ticket. Gli amministratori hanno fatto un grande sforzo, quello di far quadrare i conti, si dice, ma i servizi sono un’ altra cosa. Le regioni che vincono la sfida in positivo del 2013 per aver adempiuto i livelli essenziali di assistenza sono solo otto sulle sedici monitorate dal ministero della Salute: Liguria, Lombardia, Veneto, Toscana, Emilia Romagna, Marche ed Umbria. Tra le proposte di riassetto della sanità è stata avanzata quella che prevede di centralizzare gli acquisti per macroaree in capo alle regioni più virtuose, come ha ricordato il toscano Federico Gelli, responsabile sanità per il Pd alla Camera dei deputati. Un’ altra voce di spesa drammatica, secondo Gelli, sono i quattordici miliardi di inapropriatezza per medicina difensiva, a cui si vorrebbe far fronte, mettendo il contenzioso a carico dell’azienda e l’onere della prova del danno a carico del paziente. Ma su questo punto dissente Tonino Aceti, coordinatore del Tribunale per i diritti del malato di Cittadinanzattiva. “Si torna a squilibrare i rapporti di forza tra medico e paziente a fronte di una valutazione di costo della medicina difensiva che in realtà è difficile quantificare. Questo computo come quello della corruzione devono articolarsi in altre voci ed in soluzioni articolate come: una migliore trasparenza, l’ informazione, la diligenza e la chiarezza. Qualcosa che sembra dunque poter trovare le sue soluzioni più con un salto culturale ed organizzativo, che con una cura drastica a scapito del cittadino.
La cultura dei medici deve cambiare
Spesso gli stessi operatori dei cup regionali o aziendali consigliano i cittadini di andare nel privato, perché si aspetta di meno, senza capire che è un’ ottica controproducente per il servizio sanitario nazionale, che in questo modo perde e si depaupera. Insomma, perfino gli operatori, non ci credono più, lamentano le testimonianze raccolte dal Tribunale per i diritti del malato. Il medico o l’operatore del cup che bisbiglia di fatto non onora l’etica pubblica per cui è stato impiegato. Nessuna azienda privata avrebbe dipendenti così zelanti verso il proprio concorrente, ma perché i dipendenti pubblici lo fanno? Ecco dunque emergere un altro aspetto: la disaffezione degli operatori che emerge alla presentazione del Pit salute ed individua un un altro bersaglio cruciale come la cultura di chi la prestazione sanitaria pubblica la eroga, primi tra tutti i medici del territorio, i cosidetti medici di famiglia. “Sono 20 anni che si parla di territorio” hanno sottolineato l’assessora alla salute del FVG, Maria Sandra Telesca e la senatrice Annalisa Silvestro (pd). Che ha impegnato molti anni alla presidenza del sindacato degli Infermieri, ma che ora si trova al Senato,all’altra parte della barricata. “Siamo ancora sprovveduti per l’intervento cronico. Si deve lavorare con il gruppo, non come monadi, occorre un’ altra organizzazione del lavoro, non solo spirito critico ma collaborativo”. Esorta Silvestro rivolta a tutti gli operatori. Richiama, poi, alla buona comunicazione tra cittadini e medici. Le case della salute non devono essere poliambulatori ma case dei servizi, altrimenti si finisce per parlare di accesso alla sanità privata con un po’ di sanità pubblica, conclude la senatrice del Pd.
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ARTICOLO 34
(Concorso alla finanza pubblica delle Regioni e Province autonome)
Le Regioni assicurano un contributo alla finanza pubblica pari
a 3.980 milioni di euro per il 2017 e 5.480 per ciascuno degli anni 2018 e 2019, nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza, da recepire con Intesa sancita dalla Conferenza Stato Regioni entro il 31 gennaio di ciascun anno. In assenza di intesa, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, i richiamati importi sono assegnati ad ambiti di spesa ed attribuiti alle singoli Regioni e province autonome, tenendo anche conto della popolazione residente e del Pil, e sono rideterminati i livelli di finanziamento degli ambiti individuati e le modalità di acquisizione delle risorse da parte dello Stato, considerando anche le risorse destinate al finanziamento corrente del Servizio sanitario nazionale.
Nuovi tagli alla sanità, quindi, a partire dal 2017? Se le Regioni dovessero articolare i tagli richiesti a partire dal 2017 con le proprozioni di quest’anno (su 4 miliardi ben 2,35 sono stati applicati alla sanità, ovvero quasi il 60% del totale del contributo alla finanza pubblica richiesto dal Governo) per il 2017 e 2018 potremmo aspettarci un altro taglio alle risorse sanitarie tra i 5 e i 6 miliardi di euro. Ma al momento è chiaro che in proposito si possono solo fare ipotesi, sia perché queste cifre potrebbero essere riviste nella prossima legge di stabilità, sia perché non è detto che le Regioni non riescano, stavolta, a incidere su altre voci di spesa dei propri bilanci.