Nella fretta di riuscire a trovare una copertura all’imponente manovra da 45 miliardi ogni giorno spuntano proposte nuove e più o meno fantasiose da parte dei vari parlamentari. Ieri è stata la volta delle parafarmacie, identificate come il mezzo attraverso cui raggranellare un miliardo di euro. Come? Facendo pagare una sorta di licenza (costo 300 mila euro) per potersi trasformare in farmacie tradizionali. La proposta è di un gruppo di parlamentari del Pdl capeggiati dal senatore Filippo Piccone [in the photo on the right], non nuovo all’argomento. Lo stesso emendamento lo aveva infatti presentato per inserirlo nel decreto Milleproroghe e anche per racimolare denaro per la ricostruzione post terremoto a L’Aquila. L’idea è di trasformare le oltre tremila parafarmacie in vere e proprie farmacie in modo da recuperare risorse per la manovra finanziaria. Per ottenere una licenza di vendita dei farmaci, sarebbe previsto un esborso volontario di circa 300 mila euro.
Gli emendamenti alla manovra che riguardano i farmacisti non titolari di farmacia sarebbero quattro. Sia quelli di opposizione che di maggioranza vanno nella direzione di una liberalizzazione della professione, prevedendo l’istituzione della farmacia non convenzionata. In queste farmacie il prezzo della vendita dei medicinali, esclusi quelli di fascia C, è libera. Mentre i farmaci prescritti dai medici sui ricettari del Servizio sanitario nazionale restano invece di pertinenza delle sole farmacie convenzionate. Le reazioni alla proposta sono unanimemente contrarie, sia da parte dei farmacisti che dei parafarmacisti. Entrambi i rappresentanti delle due categorie parlano di “sanatoria”.
Andrea Mandelli, presidente della Federazione degli ordini dei farmacisti è più che diretto: «Se passasse questa proposta, verrebbero lesi i diritti dei collaboratori dei farmacisti che con il loro lavoro acquisiscono punteggi per partecipare ai concorsi. Si andrebbe a scapito di questa grande maggioranza di lavoratori». Per Mandelli bisogna chiamare le cose con il proprio nome: «È una sanatoria, inutile girarci intorno. Per noi è inaccettabile. Tutte le ricerche mostrano che il servizio fornito dalle farmacie è il migliore, più di quelli forniti da supermercati o studi medici. I cittadini verrebbero privati di questa possibilità».
Incredibilmente il discorso non cambia di molto sul fronte dell’Associazione nazionale delle parafarmacie. «Non è questa la strada per andare in paradiso. Sono tentativi per fare pubblicità al di fuori di ogni possibilità di realizzazione – spiega il presidente Lino Busà – è un discorso che non condividiamo perché è illusorio ottenere delle sanatorie. La parafarmacia deve restare un’attività di vicinato e deve piuttosto essere data la possibilità di vendere medicinali della fascia C, quelli che sono dispensati senza onere per il servizio sanitario aumentando così la gamma dei prodotti».
Per la trasformazione in farmacia non convenzionata dovrebbe essere pagata una tassa di concessione una tantum. In ogni caso sono esclusi da questa possibilità i titolari di farmacie convenzionate o le società di capitali. Anche il commento di Annarosa Racca, presidente di Federfarma, l’associazione che riunisce i titolari di farmacia è assolutamente negativo: «Sono sicura che il governo, che tiene alla salute dei cittadini, non prenderà in considerazione gli emendamenti, perché scardinano il sistema farmaceutico italiano, che è il migliore al mondo». Unica voce parzialmente fuori dal coro è Giuseppe Scioscia, presidente del Forum nazionale parafarmacie che raggruppa le oltre tremila parafarmacie italiane: