Elizabeth Lucchesini
Le dimensioni demografiche della Cina fanno sì che qualsiasi, seppur minima, modificazione negli stili di vita dei cinesi si traduca in grandi numeri dal punto di vista dei consumi. Ecco perché è importante cogliere in anticipo le informazioni che gradualmente iniziano a filtrare da quel mondo lontano. Susan Ward, che lavora alla Global Demographics Healthcare di Hong Kong, schematizza sull’ultimo numero di Nature reviews Drug discovery le statistiche più recenti e i tre fattori cardine che possono garantire l’accesso al mercato cinese. Per cominciare un po’ di numeri che danno un’idea delle dimensioni del fenomeno: nel 2004 il mercato farmaceutico cinese aveva un tasso di crescita del 28%, con questi ritmi nel 2050 sarà il mercato mondiale più grande.
Età della popolazione, rapido sviluppo economico e urbanizzazione sono i fattori trainanti della domanda di salute. Basti pensare che una patologia cronica come il diabete di tipo 2 era rara fino a 20 anni fa, negli ultimi 10 anni la sua prevalenza è raddoppiata e oggi riguarda circa 56,7 milioni di Cinesi, un numero equivalente a quasi l’intera popolazione della Gran Bretagna e al doppio dei 20,8 milioni di casi stimati per gli Stati Uniti d’America.
La politica del "figlio unico" introdotta nel 1979 esplicita ora pienamente le sue conseguenze: le nascite (12,7 milioni nel 2007) si ridurranno di un terzo (8,9 milioni nel 2026) mentre si osserverà un incremento della durata media della vita grazie alle migliori condizioni alimentari e sanitarie. Il panorama che dovremo aspettarci quindi sarà quello di un invecchiamento progressivo della popolazione. Tra 10 anni il 50% dei cinesi avrà più di 40 anni e il 25% più di 65. Nel 2026 sarà dimezzata la fascia giovane, quella sotto i 25 anni, che passerà dai 437 milioni del 2007 a 297 milioni, mentre gli over 40 saliranno da 566 a 740 milioni.
Alla politica di contenimento delle nascite si deve anche una miglior distribuzione delle risorse statali dedicate all’educazione, che ha consentito di raggiungere un alto livello (98%) di alfabetizzazione. E questi ragazzi istruiti si spostano ora verso le città in cerca di un’occupazione ben retribuita; l’ondata di urbanizzazione in continua crescita (+52% nel 2017) ha portato con sé uno stile di vita 3 volte più sedentario, l’esposizione a tabacco e alcol, una dieta più ricca di carboidrati raffinati, carne e grassi. E infatti, dal 1982 al 2002 i casi di obesità sono cresciuti dallo 0,6% al 6% mentre gli adulti in sovrappeso sono passati dal 7,1% al 22,8%. Le stime indicano quindi una crescita della prevalenza dei casi di diabete nei centri urbani dai 32,7 milioni del 2007 a 56,3 milioni nel 2017, praticamente un incremento di 2,4 milioni di pazienti l’anno. Considerando poi che nel 2007 è stato diagnosticato solo il 32% dei diabetici residenti nei centri urbani, ci si deve attendere anche un’elevata prevalenza di complicanze renali e cardiache del diabete. La domanda di opzioni diagnostiche e terapeutiche sarà quindi enorme, sia per il diabete, sia per altre patologie degenerative, incluse ipertensione e cancro del seno.
Infine merita considerazione la disponibilità economica dei singoli che, come in tutti i mercati emergenti, discrimina la possibilità di accesso alle cure. Nell’ultimo ventennio c’è stato un drammatico spostamento della spesa dal compartimento pubblico a quello privato; restando al diabete: nel 1985 poco meno del 40% dei costi era a carico del governo e un terzo ricadeva sull’assicurazione socio-sanitaria; nel 2005 il 56% dei pazienti pagava di tasca propria, mentre i costi a carico del governo si erano ridotti al 17%. In conseguenza dell’urbanizzazione