Il piano anti-crisi di Obama è’ stato approvato dal Congresso anche se già si sono levati diversi scetticismi sui suoi effetti macroeconomici nel medio e lungo termine. Secondo il Congressional Budget Office, questi interventi faranno crescere il Pil tra il 1.4% e il 3.8% nel 2009 e tra il 1.1% ed il 3.3% nel 2010 creando nel contempo 4 millioni di posti di lavoro. Questi valori potrebbero anche essere rivisti al rialzo nel caso di una rapida partenza dei cantieri per l’edilizia scolastica e per le infrastrutture. Dal 2011 gli effetti positivi dovrebbero attenuarsi visto che il crescente debito pubblico renderà più convenienti agli investitori privati il debito US creando un effetto crowding out e, soprattutto, richiederà un probabile ritorno verso un maggiore rigore fiscale e una political monetaria più restrittiva. In quel momento, tuttavia, la locomotiva statunitense dovrebbe essersi ripresa ed essere capace di correre da sola senza ulteriori aiuti di stato. Un lettura attenta della boccata d’ossigeno all’economia statunitense, in ogni caso, dimostra come Barak Obama non abbia pensato solo al presente avendo deciso di destinare ulteriori 11 miliardi di dollari alla ricerca. È come se il presidente, almeno in questo specifico ambito, abbia voluto proseguire la strada intrapresa dalla precedente amministrazione che nel 2006 lanciò l’American Competiveness Initiative. Al fine di preservare la leadership scientifica del Paese, si decise di aumentare i fondi per la ricerca di base con particolare attenzione alla medicina, alle energie alternative e alle nanotecnologie. Gli effetti, almeno in termini monetari, si sono visti. Nel 2008, il budget federale per la ricerca è stato di 147 miliardi di dollari, il 61% in piu’ rispetto al 2001. La metà di questi fondi è stato destinato alle organizzazioni chiave per la ricerca come la National Science Foundation, la Nasa e il National Institute for Health. Si è anche puntato ad correggere il trend negativo di ricercatori e studenti universitari di materie scientifiche visto che, secondo l’Ocse, nel 2005 solo il 15% dei laureati statunitensi aveva conseguito un diploma universitario scientifico rispetto al 25% in Giappone e al 40% in Corea del Sud e Cina. Partendo già da un’ottima base se paragonata alla situazione europea, nel suo piano anticrisi Barak Obama ha assegnato alla National Science Foundation e alla Nasa altri 1.2 miliardi di dollari ciascuno. La prima, con un ricco bilancio di partenza di circa 6 miliardi di dollari, utilizzerà i fondi per finanziare nuovi progetti di ricerca nella matematica, nell’informatica e nelle scienze sociali. La Nasa, invece, potenzierà principalmente la sua partecipazione nel programma della International Space Station e continuerà a gestire l’era post-Shuttle. Un’altra organizzazione che beneficia del piano anti-crisi con 250 milioni di dollari è il National Institute for Standard and Technology (Nist), l’organismo federale con compiti di standardizzazione ma anche di ricerca di base. Nel campo delle energie alternative sono stati assegnati ai laboratori di ricerca del Dipartimento dell’Energia altri 4.6 miliardi di dollari. A tutto questo bisogna aggiungere gli altri 2 miliardi di dollari per National Institute of Health, uno dei principali motori della ricerca medica al mondo. Anche in periodo di crisi per Obama la ricerca rimane una priorità. Ma questi interventi vogliono essere anche un segnale forte agli imprenditori che, sebbene sotto forte pressione, devono pensare a mantenere la propria competitività tecnologica nel lungo termine. In fondo, sono stati proprio loro che nel 2007, quando ancora i segnali dell’attuale crisi economica erano deboli, hanno speso circa 208 miliardi di dollari in ricerca applicata facendo degli Stati Uniti un leader mondiale nell’innovazione. * Direttore di Ricerca-Italia RAND Europe