Quale è la situazione?
Abbiamo condotto proprio di recente uno studio da cui è emersa una situazione difficile sul fronte del precariato: oltre seimila medici hanno un contratto a tempo determinato ma quel che è peggio è che risultano altri seimila medici già specializzati inquadrati con un cocopro o comunque con contratti atipici puri. E questo si traduce in assenza di tutele, incertezza di futuro, e in una serie di costi, tra cui contributi pensionistici, assicurazione, e così via, scaricati sul personale.
Con una deregolamentazione anche degli orari?
Certo. Vengono meno tutti quei paletti come il riposo, creando una situazione di rischio tanto per il paziente quanto per il medico, più esposto a contenzioso.
E sul fronte compensi?
È chiaro che non essendoci tutele nella maggior parte dei casi questi medici prendono poco e cercano di compensare facendo più lavori. In qualche modo i conti devono tornare, ma da parte pubblica ci pare uno smercio, uno svilimento della professione.
Cito solo questo dato: i medici che sono andati all’estero, tra coloro che si sono laureati in Italia e coloro che, oltre alla laurea, hanno anche preso la specializzazione, sono passati da 400 del 2009 a un valore di quasi 2.400 di oggi. Con uno spreco di risorse umane ed economiche per il nostro Stato: basta pensare che tra costi diretti e indiretti ciascun medico che ultima il percorso di formazione costa all’incirca 150mila euro. Se moltiplichiamo tale cifra per la popolazione medica, ci rendiamo conto dello spreco: un vero regalo per paesi come Germania, Spagna, Inghilterra, Svizzera, Australia dove sono diretti, in modo particolare, i nostri medici. E va segnalato anche un altro fenomeno: la presenza di società, cooperative estere, che fanno già da qui campagna acquisti.
Quali le ragioni di questa situazione?
Partiamo dai problemi del pre-lauream: la premessa è che a nostro parere il numero programmato non solo è uno strumento utile, ma deve rimanere così com’è, al di là dei tentativi di sostituirlo con il modello francese. Detto questo, c’è un problema nella stima del fabbisogno di nuovi medici e nel numero di ingressi all’università. Per il prossimo anno accademico si parla di 10mila nuovi studenti, a cui però – non dimentichiamolo – si va ad aggiungere chi entra con il ricorso: una cifra che dal 2013 a oggi è salita a 9mila unità. Se poi andiamo a guardare i contratti di specializzazione messi a disposizione nell’ultimo concorso, 5.504 posti, abbiamo sostanzialmente una copertura di quasi un quarto. È chiaro che questo stato di cose, soprattutto in presenza di un sistema in cui per accedere ai concorsi del Ssn è necessaria la specializzazione, non fa che alimentare il precariato, perché da qualche parte i neolaureati devono trovare sfogo. Mentre, va detto, c’è un forte trend di pensionamenti che non viene compensato.
Meaning what?
È stato calcolato che al 2023 ci saranno in servizio, nel Ssn, tra i 70mila e gli 80mila medici, con un tasso di pensionamento che da qui a quella data sarà di circa 3000 professionisti l’anno e un’età media di 51 anni. E guardi che, se anche immaginassimo di eliminare il blocco del turn over e di dare il via alla stabilizzazione dei precari, comunque, nelle strutture, continuerebbe a esserci bisogno di medici.
Certamente c’è questo aspetto. Le piante organiche, con blocco del turn over e pensionamenti, sono scoperte. Ma c’è poi il fatto che il precariato, anche per i suoi costi più bassi, serve a garantire i Lea. Da parte nostra, abbiamo avanzato la richiesta di applicare il Jobs act alla categoria medica, senza andare a toccare il comparto della Pubblica amministrazione, ma dal premier c’è una certa resistenza. Questa misura avrebbe potuto portare almeno alla stabilizzazione dei cocopro.
E il Dpcm sui precari?
Serve a poco o nulla. Intanto vale solo per i contratti a tempo determinato lasciando fuori il precariato atipico, come appunto i cocopro. E poi mette talmente tanti paletti che di fatto anche tra i medici a tempo determinato sarà applicabile solo a una piccola parte. Tra i requisiti c’è infatti un’assunzione per 36 mesi continuativi per la stessa azienda e per di più nello stesso posto: fuori dal mondo. Come pure non ci pare una soluzione quella prevista nella Delega lavoro (ex art 22 Patto Salute) che porterebbe alla creazione di medici di serie A e di serie B, con il rischio che non verrebbero più banditi i concorsi.
Speranze sullo sblocco del turn over?
Credo che per ora ci siano solo proclami, legati forse anche al rinnovo elettorale in alcune regioni, anche perché, dove è stato pianificato, come in Campania, non ci pare abbia un effettivo sostegno finanziario. Ma poi ci sono anche situazione come quella della Toscana: qui, a seguito dell’accorpamento delle Asl, sono stati dichiarati oltre 2000 esuberi, il che si traduce in blocco delle assunzione per due anni. E non dimentichiamoci dei tagli chiesti alle Regioni dalla legge di Stabilità, che porterà al mancato aumento del Fondo sanitario nazionale per il 2015. Misure, queste, di cui dobbiamo ancora sentire gli impatti, ma che nella maggior parte dei casi vanno a colpire le risorse umane.
Possibili ricette?
In parte le abbiamo già messe in luce: numero programmato all’italiana, con una riduzione degli accessi a medicina a 5.000 unità, e un contestuale aumento dei contratti di formazione specialistica. Ma soprattutto effettuare delle rilevazioni sulle piante organiche: ogni azienda sanitaria dovrebbe fare un piano di pensionamento triennale, per specialità e per unità operativa, e renderlo pubblico. Solo così possiamo capire come modulare lo sblocco del turn over. Per quanto riguarda l’aumento dei contratti di formazione specialistica noi abbiamo fatto alcune proposte, che avrebbero potuto portare alla possibilità di stanziare ogni anno accademico oltre 2000 contratti in più. Staremo a vedere.
Francesca Giani – Sabato, 21 Marzo 2015 – Doctor33
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