In questi giorni sollecitato da una domanda di un collega e curioso di approfondire la tematica dell’orario di lavoro nella nostra professione sono andato ad effettuare alcune ricerche sul tale tema su internet che vorrei condividere con i colleghi.
Da Wikipedia, l’enciclopedia libera presente su Internet si apprende che nella legge italiana, per orario di lavoro si intende: « qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni. » (d.lgs. n. 66/2003, art. 1, comma 2, lett. a). Il d.lgs. 66/2003, riprendendo l’approccio di cui alla legge n. 196/1997, definisce orario normale il limite delle 40 ore settimanali sancito da questo ultimo provvedimento. La contrattazione collettiva potrà, sulla scorta della direttiva 93/104/CE e successiva modifica 2000/34/CE, apportare delle variazioni all’orario settimanale di lavoro rapportandolo ad una durata media in relazione ad un periodo predeterminato non superiore all’anno. È inoltre consentito alla contrattazione, in base all’art. 4 d.lgs. 66/2003, di fissare una durata massima dell’orario di lavoro purché non superiore alle 48 ore settimanali (comprensive di straordinario) in relazione ad un periodo non superiore a 4 mesi (periodo che può essere innalzato fino a 6 mesi o fino a 12 mesi se sussistono ragioni obiettive, tecniche o inerenti all’organizzazione del lavoro). Il superamento della soglia delle 48 ore obbliga il datore di lavoro di unità produttive che occupano più di 10 dipendenti, ad informare tempestivamente la direzione provinciale del lavoro. Il Decreto n. 66/2003 non si esprime in merito allo svolgimento di pause durante l’orario di lavoro. Resta invariata la durata di 45 minuti per la pausa pranzo, per tutte le categorie di lavoratori. Per i turni di lavoro che eccedono le 6 ore al giorno, è fissata una pausa di 10 minuti (art. 8), per la cena, salvo migliori condizioni previste dalla contrattazione collettiva. La disciplina originaria sul lavoro straordinario è contenuta nell’art. 2108 comma 1 cod. civ., con una formula abbastanza eloquente: In caso di prolungamento dell’orario normale, il prestatore di lavoro deve essere compensato per le ore straordinarie con un aumento di retribuzione rispetto a quella dovuta per il lavoro ordinario.
A fissare dei limiti temporali del ricorso allo straordinario provvedeva ancora il vecchio r.d.l. 692/1923, che sanciva 2 ore giornaliere o 12 ore settimanali, limite la cui fissazione, la legge 196/1997 delegava alla contrattazione collettiva (applicandosi quella legale solo in caso di inerzia) e il cui superamento era consentito nei casi di forza maggiore, pericolo, danno alla produzione o alle persone. Sul punto il d.lgs. 66/2003 provvede ad un riordino generale. A seguito del Decreto n. 66 del 2003, il lavoro straordinario è stato ulteriormente disciplinato e regolamentato, mantenendo in ogni caso la volontarietà del lavoratore. Per via dell’orario medio di lavoro, lo straordinario è retribuito ogni sei mesi, verificando se le ore superano una media di 40 per settimana. In assenza di una durata normale dell’orario di lavoro in 8 ore e di un limite tassativo allo straordinario (due ore al giorno), non sussiste più a priori una differenza fra orario normale e straordinario, e l’interessato non potrebbe nemmeno esercitare in concreto questo diritto. Il tetto massimo del lavoro straordinario si riferisce ora alla durata media dell’orario settimanale (che come abbiamo visto prima non può superare le 48 ore settimanali in riferimento ad un periodo di almeno 4 mesi) che in caso di superamento fanno scattare l’obbligo di segnalazione del
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