Dovevano finire in soffitta e invece rischiamo di trovarcene tra i piedi cinque in più. No, non si tratta delle province, ma di un altro tormentone italiano rappresentato dagli ordini professionali, di cui tutti criticano le farraginosità, l’obsolescenza e gli effetti negativi sull’accesso dei giovani nel mondo del lavoro, ma che nessuno riesce a riformare seriamente.
In un impeto liberista il governo aveva inserito nella manovra di luglio addirittura l’abolizione di tutti gli ordini professionali. La norma, che aveva fatto esultare alcune componenti sia della maggioranza sia dell’opposizione e alcuni pensatoi liberisti come l’Istituto Bruno Leoni, che da tempo sostiene la necessità di una modifica all’inglese del retaggio corporativista nato sotto il fascismo, ha fatto però allo stesso tempo saltare sulla sedia tutti quei parlamentari che oltre al tesserino da onorevole hanno in tasca anche quello da avvocati. Una valanga di deputati con la toga, tutti del Pdl, minacciando addirittura di non votare la fiducia al testo, hanno costretto il governo a fare marcia indietro.
Una versione, seppure ben più timida, è però ricomparsa anche nella manovra bis. Il comma 5 dell’articolo 3 individua infatti le linee guida per la riforma degli ordini professionali da effettuarsi entro 12 mesi dall’entrata in vigore del decreto. A ispirare i nuovi ordini dovrebbe essere un sostanziale ridimensionamento degli stessi: a partire dall’accesso libero alla professione e il rispetto della concorrenza.
Qualcosa si muove? Macché. Proprio mentre ieri alla Camera si votava la fiducia, in una commissione di Palazzo Madama i senatori erano impegnati nell’esame di un disegno di legge in materia di sanità. Indovinate il piatto forte? La creazione di cinque nuovi ordini e venti albi professionali che si vanno ad aggiungere ai circa trenta che attualmente sono riconosciuti in Italia.
Le nuove professioni che si andranno ad affiancare a quelle di giornalista, avvocato, ingegnere o architetto (ma anche i tecnologi alimentari, i consulenti in proprietà industriale e le guide alpine hanno diritto al loro bel tesserino professionale) saranno gli infermieri professionali, ostetriche, professioni sanitarie della riabilitazione, tecnici sanitari di radiologia medica, professioni tecniche-sanitarie della prevenzione.
A lanciare l’allarme sul tentativo di allungare un elenco che nell’altro ramo del Parlamento si vorrebbe sforbiciare è stato Francesco Rutelli. «Sarebbe questa la rivoluzione liberale di cui si fa portatrice l’attuale maggioranza?», si è chiesto il presidente del Terzo Polo durante il suo intervento al Senato. «Mi chiedo come sia compatibile», ha proseguito l’ex sindaco di Roma, «una scelta del genere con l’orientamento assunto dal governo, che a corto di proposte dal punto di vista della crescita economica, ha detto, scritto ed approvato con la manovra su cui ha posto la questione di fiducia, che proprio l’accesso alle professioni deve diventare il primo tagliando per la crescita». Lo sbeffeggiamento di Rutelli ha provocato la sospensione del provvedimento a data da destinarsi (con la giustificazione di dover modificare alcune disposizioni in materia di procedimenti disciplinari), ma a difendere il testo è sceso subito in campo uno schieramento bipartisan.
«Se la sospensione nasce da motivazioni tecniche può essere accettata, purché», sostiene il dipietrista Giuseppe Caforio, «segua presto un atto risolutivo che consenta la rapida approvazione di una legge necessaria per ampliare