In questi giorni mi è capitato di incontrare durante la normale attività lavorativa un collega di una nota azienda italiana, di cui ometto il nome, ma estremamente conosciuta per un famoso antipiretico e per una linea di pannolini usatissimi in Italia.
Il collega in questione mi è sembrato assai abbattuto e parlandoci, dopo un lungo tira e molla sono venuto a conoscere il vero motivo del suo turbamento.
La questione riguarda l’orario di lavoro dell’isf ed il riconoscimento dello straordinario e di un gettone di presenza per l’attività lavorativa perpetrata in giornate particolari o per particolari eventi (ECM, etc. etc.).
Da quanto esposto sembra che qualche collega che si dipinge come un salvatore della patria perché nominato all’interno della RSU, come rappresentante degli isf, abbia avvallato un documento che di fatto vanifica le normative italiane ed europee sull’orario di lavoro e che tale documento trattandosi di una contrattazione di secondo livello, prevista anche dall’ultimo CCNL del settore chimico farmaceutico abbia risvolti legali e contrattuali al di fuori delle norme attuali e della prassi consolidata.
Niente a che vedere con aspetti di Marchionnana memoria, ma evidentemente in questo caso proprio per alcuni errori si sono confuse capre e cavoli.
Alcuni aspetti: Secondo quanto conosciuto su questo accordo, in barba al limite delle 40 ore settimanali e delle 48 ore comprensive di eventuali straordinari prevista dalla legge italiana ed europea sarebbe possibile per l’isf effettuare altra ulteriore attività giornaliera senza alcun particolare problema. Primo grave errore. La normativa europea prima e quella italiana sono estremamente chiare su questi punti:
“Il d.lgs. 66/2003, riprendendo l’approccio di cui alla legge n. 196/1997, definisce orario normale il limite delle 40 ore settimanali sancito da questo ultimo provvedimento. La contrattazione collettiva potrà, sulla scorta della direttiva 93/104/CE e successiva modifica 2000/34/CE, apportare delle variazioni all’orario settimanale di lavoro (c.d. orario multiperiodale) rapportandolo ad una durata media in relazione ad un periodo predeterminato non superiore all’anno. È inoltre consentito alla contrattazione, in base all’art. 4 d.lgs. 66/2003, di fissare una durata massima dell’orario di lavoro purché non superiore alle 48 ore settimanali (comprensive di straordinario) in relazione ad un periodo non superiore a 4 mesi (periodo che può essere innalzato fino a 6 mesi o fino a 12 mesi se sussistono ragioni obiettive, tecniche o inerenti all’organizzazione del lavoro). Il superamento della soglia delle 48 ore obbliga il datore di lavoro di unità produttive che occupano più di 10 dipend