Perché un farmaco arrivi sul mercato e inizi a essere usato sui pazienti deve avere l’approvazione di un’autorità sanitaria di controllo. Nel caso dell’Europa, l’agenzia è l’Emea (European agency for the evaluation of medical products), l’equivalente dell’americana Food and drug administration. Silvio Garattini (foto), direttore dell’Istituto Mario Negri di Milano, che per sette anni, fino al 2004, ha fatto parte del comitato per l’approvazione dei farmaci dell’Emea, da tempo critica il funzionamento dell’agenzia e ne mette in dubbio la capacità di garantire al meglio la salute dei cittadini.
Qual è il problema principale dell’Emea?
Anzitutto il fatto che dipende dalla direzione generale dell’industria dell’Unione Europea, al contrario di ciò che succede in tutti gli altri paesi. Sarebbe naturale aspettarsi che fosse una competenza della direzione della Sanità. Questo significa che l’Europa vede i farmaci più come oggetti di consumo che come strumenti di salute.
Da chi è finanziata l’Emea?
Il 70 per cento dei finanziamenti viene dall’industria farmaceutica. Ovvio che le industrie debbano pagare per il lavoro che l’Emea svolge sui prodotti, ma ci dovrebbero essere anche finanziamenti pubblici. Il bilancio dell’Emea finisce per dipendere dal numero dei prodotti che ogni anno vengono approvati, quindi c’è una pressione che va a detrimento dell’obiettività.
Che cosa viene valutato di un farmaco?
La sua qualità, l’efficacia, la sicurezza. Non è però obbligatorio fare confronti con altri farmaci e dimostrare che l’ultimo arrivato è il migliore. Basta dimostrare che non è inferiore. I dispositivi medici devono solo dimostrare di essere sicuri, senza che venga richiesto di verificarne l’efficacia. Non sempre il nuovo è migliore del vecchio. Sono organismi regolatori diversi dall’Emea quelli che all’interno della Ue si occupano dei dispositivi medici. Il marchio Ce deve garantire solo la sicurezza.
Altri problemi?
La segretezza. Tutte le attività dell’Emea sono coperte da segreto. Non si sa neppure quali siano i risultati degli studi cui i pazienti hanno partecipato. E poi il fatto che un unico comitato decide sull’immissione di un farmaco sul mercato e sul suo eventuale ritiro, se ci sono problemi. Difficile, anche da un punto di vista psicologico, che un gruppo di esperti arrivi a smentire se stesso. Ci vorrebbero due organismi, uno che approva e un altro che segue il farmaco per il suo periodo di vita. Negli Usa c’è una discussione a livello legislativo per affrontare il problema.
Qual è il problema principale dell’Emea?
Anzitutto il fatto che dipende dalla direzione generale dell’industria dell’Unione Europea, al contrario di ciò che succede in tutti gli altri paesi. Sarebbe naturale aspettarsi che fosse una competenza della direzione della Sanità. Questo significa che l’Europa vede i farmaci più come oggetti di consumo che come strumenti di salute.
Da chi è finanziata l’Emea?
Il 70 per cento dei finanziamenti viene dall’industria farmaceutica. Ovvio che le industrie debbano pagare per il lavoro che l’Emea svolge sui prodotti, ma ci dovrebbero essere anche finanziamenti pubblici. Il bilancio dell’Emea finisce per dipendere dal numero dei prodotti che ogni anno vengono approvati, quindi c’è una pressione che va a detrimento dell’obiettività.
Che cosa viene valutato di un farmaco?
La sua qualità, l’efficacia, la sicurezza. Non è però obbligatorio fare confronti con altri farmaci e dimostrare che l’ultimo arrivato è il migliore. Basta dimostrare che non è inferiore. I dispositivi medici devono solo dimostrare di essere sicuri, senza che venga richiesto di verificarne l’efficacia. Non sempre il nuovo è migliore del vecchio. Sono organismi regolatori diversi dall’Emea quelli che all’interno della Ue si occupano dei dispositivi medici. Il marchio Ce deve garantire solo la sicurezza.
Altri problemi?
La segretezza. Tutte le attività dell’Emea sono coperte da segreto. Non si sa neppure quali siano i risultati degli studi cui i pazienti hanno partecipato. E poi il fatto che un unico comitato decide sull’immissione di un farmaco sul mercato e sul suo eventuale ritiro, se ci sono problemi. Difficile, anche da un punto di vista psicologico, che un gruppo di esperti arrivi a smentire se stesso. Ci vorrebbero due organismi, uno che approva e un altro che segue il farmaco per il suo periodo di vita. Negli Usa c’è una discussione a livello legislativo per affrontare il problema.
From “www.panorama.it”