Qui l’industria farmaceutica ha uno dei suoi principali poli europei. O meglio aveva, visto che dal 2009 le multinazionali hanno preso a tagliare rami d’azienda con la facilità con cui si manda giù una pillola. L’americana Warner Chilcott è una di queste. Cinque anni fa rilevò da Procter&Gamble il ramo che aveva il suo punto di forza in un farmaco antiosteoporosi di buon successo. Quasi nessuno in fabbrica, sindacati inclusi, annusò che l’acquisto era sospetto. Gli indizi però, per chi voleva vederli, c’erano tutti: dalla scadanza imminente del brevetto del farmaco antíosteoporosi al fatto che venditore e acquirente avessero l’amministratore delegato in comune.
Salvatore Manfredi, all’epoca responsabile vendite della Warner, qualche dubbio lo ebbe: decise perciò di andare via, incassare la liquidazione e cercare nuove strade. Un anno dopo, non si stupì quando i suoi ex colleghi Gianni Paolucci e Daniele Mosetti gli telefonarono per raccontargli che la Warner aveva deciso di sbaraccare chiamando in causa proprio la scadenza del brevetto del farmaco antiosteoporosi.
«La forza dei tre» per Mastrandrea «è stata di provare a giocare sullo stesso campo dei manager che li avevano silurati. Non hanno occupato sedi, non hanno picchettato gli ingressi, non si sono fatti vedere neppure davanti a un ministero o in una piazza calda dello scontento italiano. Hanno deciso di reinventarsi il lavoro, usando il background e il patrimonio di relazioni costruito in vent’anni». Fenix Pharma è nata grazie alle leggi che aiutano gli ex dipendenti a rilevare le aziende in crisi, oggi ha 44 soci e un’altra trentina di lavoratori. Il fatturato sfiora i 6 milioni di euro e i conti sono già in utile. E il farmaco antiosteoporosi dato per spacciato? La neoimpresa ha acquistato la licenza per un prodotto generico similare e oggi questo rappresenta il 50 per cento del suo fatturato. Stavolta, insomma, la pillola va su.
di Paolo Casicei – ” IL VENERDI ” 30 OTTOBRE 2015
Lavoro senza padroni
176 pagine. 15.00 € BALDINI&CASTOLDI
Un reportage alla Michael Moore nel mondo delle imprese recuperate, tra le vite di lavoratori «scartati» dalla globalizzazione che si sono reinventati un futuro sostenibile.
Succede sempre più spesso che multinazionali chiudano da un giorno all’altro, che aziende falliscano. E i lavoratori? Si disperano e poi si rassegnano, ma a volte reagiscono, si riuniscono in cooperativa, rilevano la ex azienda fallita e investono i Tfr per rilanciarne la produzione. Una sfida economica e anche un cambio di paradigma, per chi da dipendente si reinventa imprenditore. Eppure, queste storie funzionano.
C’è un universo sorprendente di «resistenze operaie», fra Italia, Europa e America Latina, e questo libro le racconta. Dai greci che autogestiscono la Tv di Stato smembrata dal governo Samaras, ai francesi della Thé et infusion che producono tisane sfidando la multinazionale Lipton; dalle ex officine dei treni notturni di Tiburtina – dedite alla riconversione ecologica di mobili ed elettrodomestici – alla Fenix Pharma di Pomezia, unica cooperativa che sfida con successo le multinazionali del farmaco.
Un romanzo operaio con i dati di un saggio economico, che ci fa capire come per correggere le storture del libero mercato bisogna ripartire dalla produzione, dalle vite reali e dall’amore per il lavoro, perché prima di tutto vengono le persone.
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