The superbug stronger than antibiotics
In Europa, l’Italia, insieme alla Grecia, è il Paese in larga parte responsabile per questo aumento della resistenza ai carbapenemi, come risulta dalla sorveglianza sentinella sul fenomeno coordinata dall’Istituto Superiore di Sanità, che fornisce i dati alla sorveglianza Europea EARS-Net, riportati dal ministero della Salute. Ma non solo il batterio della Klebsiella si è fatto forte. Le resistenze più critiche riguardano Escherichia coli, (alta resistenza a fluorochinoloni e cefalosporine di terza generazione), Acinetobacter (resistenza ai carbapenemi vicino all’80%), Pseudomonas aeruginosa (resistenza a ceftazidime e aminoglicosidi) e Staphylococcus aureus (proporzione di ceppi meticillino-resistenti superiore al 30%). Il principale fattore che gioca in favore dell’ antibiotico-resistenza, chiarisce il ministero della Sanità, è proprio l’elevato consumo di antibiotics. L’Italia e’ in Europa al quinto posto per utilizzo di antibioticssul territorio per la salute umana. A testimoniare un uso esagerato degli antibiotici è il rapporto, basato sui dati della sorveglianza Esac-net dell’Unione Europea. Il dato medio europeo di consumo fuori dagli ospedali per il 2014 – sono sempre i dati del ministero – è 21,6 dosi al giorno ogni mille abitanti, e varia dalle 10,6 dell’Olanda alle 34,6 della Grecia. L’Italia, con 27,8 dosi, è al quinto posto, dietro a Francia, Romania e Belgio. Per quanto riguarda il consumo di antibiotics negli ospedali la media europea e’ sostanzialmente stabile a 2 dosi al giorno ogni mille abitanti. Anche in questo caso i piu’ virtuosi sono gli olandesi, con una dose al giorno, mentre i peggiori sono i finlandesi con 2,6, mentre l’Italia resta sopra la media europea con 2,2 e in generale, a parte l’eccezione finlandese, il sud Europa prevale nel consumo.
I superbatteri italiani
Se non si rimpolperà l’arsenale di farmaci, avverte Annalisa Pantosti, ricercatrice dell’Istituto Superiore di Sanità, si rischiano migliaia di morti anche per infezioni ‘banali’. “La gravità dell’impossibilità di trattare il paziente noi l’abbiamo già nel nostro paese – spiega Pantosti -, non per l’Escherichia Coli come nel caso statunitense ma per un’altra classe di batteri, le clebsielle pneumoniae resistenti ai carbapenemi, che nel 30-40% dei casi sono ormai resistenti anche alla colistina. In questi casi si ricorre ad antibiotics ‘di fortuna’, magari in disuso, oppure a combinazioni di più farmaci, ma la mortalità è molto alta, anche se difficile da quantificare perchè di solito i pazienti hanno anche altri problemi medici”. Per quanto riguarda il batterio Escherichia Coli, quello trovato nella paziente Usa, anche in Europa ci sono forme resistenti alla colistina. “Una volta che il gene che conferisce la resistenza è stato isolato in Cina lo abbiamo cercato un po’ tutti – racconta l’esperta -. Anche da noi ci sono ceppi di Escherichia con questo gene, ma per fortuna non hanno altre resistenze. La scoperta in Usa però è preoccupante perchè la resistenza di quel tipo è facilmente trasmissibile ad altri batteri”. Il fenomeno può essere arginato con un uso più oculato degli antibiotics a disposizione, sottolinea la ricercatrice, ma arrivati a questo punto servono dei nuovi farmaci. “Speriamo che queste scoperte spingano verso la ricerca di nuovi antibiotics – spiega -. Al momento c’è molto poco allo studio, ed è un problema anche perché ci serve più di un farmaco, visto che i batteri sviluppano resistenza velocemente. L’altra cosa da fare è limitare l’uso di quelli esistenti, anche se non sempre è possibile. se si vede un paziente che ha un’infezione resistente alla colistina gliela si dà, non c’è altra scelta, ma così facendo aumenta il rischio che si sviluppino batteri resistenti a questo antibiotico, che peraltro è abbastanza vecchio ed è stato ‘riscoperto’ proprio per l’emergere di questi fenomeni. E’ un cane che si morde la coda”.
sabato 28 maggio 2016 – nextquotidiano
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