Cari amici e lettori di questo sito avevo già scritto nei giorni scorsi di come il nostro settore non fosse assolutamente in crisi, ma invece assai florido. Ed è stato con grande stupore che nei giorni successivi ho letto sul Sole 24 ore del 12 Novembre 2009 una corale levata di scudi da parte di Big Pharma Italia. Alcuni passaggi mi sembrano illuminanti e li riporto fedelmente: (Lucia Aleotti) i dati di settembre non devono far pensare che il settore farmaceutico sia immune dalla crisi», occorre dall’altro «tener presente che una performance così positiva rispetto al resto dei settori produttivi italiani è dovuta esclusivamente all’export, che per fortuna riesce ancora a bilanciare le enormi difficoltà che riscontriamo nel mercato interno. Primo imputato, per Lucia Aleotti, è il prezzo dei farmaci: «Prezzi – sottolinea – da otto anni in calo del 30% e molto inferiori agli altri Paesi europei. Il fatturato per i medicinali venduti in farmacia è in Italia in continuo calo e addirittura più basso di quello dell’anno 2001, mentre purtroppo le altre spese sanitarie, che rappresentano l’86% del totale, stanno nel frattempo crescendo esponenzialmente». C’è soprattutto l’export, grazie alla ricerca, dietro la buona performance produttiva dell’industria farmaceutica (la migliore dell’industria italiana). Imprenditori, aziende e associazioni di categoria sottolineano però alcuni elementi che stanno dietro al positivo dato statistico messo in evidenza dall’Istat. Secondo questi ragionamenti, il quadro complessivo della situazione non può essere affidato alla sola produzione industriale (che non tiene conto dei prezzi). Per affrescare il momento congiunturale che caratterizza il settore, occorrerebbe quindi far riferimento a un insieme più completo di indicatori che comprenda appunto anche i listini (industriali, di libero mercato, dei medicinali rimborsabili), l’export (dove l’Italia, partendo dal 10% del 1991 è arrivata al 53%), i margini, l’occupazione, ecc. Seguono nellarticolo in questione Alberto Chiesi,Claudio Cavazza,Paolo Russolo e Sergio Dompè. Molto articolata l’analisi di Alberto Chiesi, presidente e amministratore delegato del gruppo parmense Chiesi: «La farmaceutica è anticiclica, perché la domanda che la sostiene è particolarmente rigida». Di conseguenza il settore, in periodi di contrazione del mercato, tende a manifestare minori difficoltà rispetto ad altri comparti. L’imprenditore, dopo aver ricordato i «provvedimenti restrittivi sui prezzi», sottolinea che per «offrire costantemente terapie innovative ed efficaci è necessaria una costante ricerca che richiede notevoli quantità di denaro. Nel 2008 ho investito 108,5 milioni di euro, pari al 14,5% del fatturato». Claudio Cavazza, presidente di Sigma-Tau, sottolinea come anche nella farmaceutica gli investimenti in ricerca e tecnologia pagano: «L’Italia si è rafforzata e oggi siamo noi che facciamo shopping all’estero. Proprio lunedì abbiamo acquistato negli Stati Uniti, investendo 327 milioni di dollari, il ramo d’azienda della Enzon che è leader nei farmaci per le malattie rare. Adesso produrremo quindi questi nuovi medicinali in Usa. Sotto l’aspetto congiunturale, bisogna tenere presente che negli ultimi cinque anni i prezzi dei farmaci sono diminuiti del 2%, mentre la spesa sanitaria si è impennata del 54 per cento. Per fortuna c’è stato un buon andamento sull’export». A confermare questa tendenza c’è anche il gruppo Bracco (2.800 dipendenti con un business a 960 milioni di euro) che, per reagire alla crisi globale, ha rafforzato la struttura internazionale della diagnostica e ha aumentato la propria presenza diretta sui mercati: «Tumultuosa – dicono dal quartier generale milanese – la crescita in Cina che ha bilanciato il difficile momento del mercato italiano». Inoltre poche settimane fa, in Giappone, Bracco ha firmato un significativo contratto per il rinnovo degli accordi con Eisai, uno dei maggiori gruppi farmaceutici nipponici, confermando la bontà di
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