Il payback, misura introdotta nel 2008 per arginare l’aumento della spesa pubblica farmaceutica, “produce effetti distorsivi e limitativi della capacità delle imprese che fanno ricerca e innovazione, dal momento che è foriero, oltre che di costi aggiuntivi, di una forte imprevedibilità”, sostiene Paolo Belardinelli nel Briefing Paper “Payback farmaceutico. Come funziona e cosa si può fare per eliminarlo“.
La legge di bilancio 2019 estende il meccanismo del payback a parte dei farmaci orfani, ovvero quelli utilizzati per le cure delle malattie rare. Inoltre, il decreto semplificazioni recepisce l’accordo Regioni-Farmindustria, con cui di fatto si stabilizza il meccanismo del payback e si mette fine al contenzioso per gli anni dal 2013 al 2018. Da misura provvisoria per ripianare, in via eccezionale, il sottofinanziamento della spesa farmaceutica, il payback diventa a tutti gli effetti e in via ordinaria una modalità di finanziamento della stessa. Ma è possibile immaginare un sistema di finanziamento e di regolazione che risolva in maniera più chiara, decisiva e sistematica il problema del sottofinanziamento?
Secondo Belardinelli, “anche rimanendo all’interno del settore sanitario, tutti sostengono di aver bisogno di più risorse, vuoi per far fronte ai nuovi e crescenti bisogni di una popolazione che invecchia, vuoi per rinnovare i contratti al personale sanitario, vuoi per ridurre le liste d’attesa, vuoi appunto per garantire la disponibilità dei farmaci. Tutti obiettivi difficili, se non impossibili, da raggiungere, se non cambia il modo in cui tutte queste attività vengono finanziate”. La copertura pubblica comporta il rischio che, per esigenze politiche, le risorse per la spesa farmaceutica vengano ridotte, come avviene nel caso del payback, al fine di poterle utilizzare (si spera bene, ma spesso male) altrove.
Rivedere il sistema di finanziamento nel suo complesso, per esempio aprendo alla concorrenza tra compagnie assicurative come nel caso olandese e dando la possibilità ai contribuenti di fare opting-out dal Sistema sanitario nazionale come nel caso tedesco, sembrerebbe l’alternativa più sicura sia per le aziende farmaceutiche che vogliono continuare a produrre e investire in Italia sia per i pazienti che beneficiano dei loro prodotti.