Chi poteva immaginare che tutti i contratti di lavoro dovessero prevedere quello che nessuno ha mai pensato, cioè di poter restituire delle somme alle imprese? Emilio Miceli (Filctem Cgil), a RadioArticolo1: “Una parte della classe dirigente del Paese immagina, ed è ridicolo anche solo dirlo, che in una fase di deflazione così spinta l’imputato sia proprio il contratto nazionale”
“La deflazione è la malattia di questo inizio di secolo. Si tratta di capire come le politiche economiche si orientano nella lotta alla deflazione, sulla falsariga di quanto è avvenuto nella seconda parte del ‘900 con la guerra contro l’inflazione. Questa è la sfida”. Chi parla è Emilio Miceli, segretario generale della Filctem Cgil, intervenuto stamattina a Radioarticolo1 (qui il podcast integrale).
“È una sfida – dice il leader sindacale – che interessa anche i contratti. Confindustria, e in generale anche Federchimica, sostengono: perché concedere nei contratti aumenti salariali quando i prezzi scendono? A questo punto saltiamo la stagione contrattuale. Trovo singolare che da parte di Confindustria, delle associazioni datoriali e delle stesse imprese si brindi al Qe di Draghi e poi s’immagini che in Italia bisogna avere il rigorismo della Merkel, si mettano un po’ d’accordo. Siamo dentro una fase inedita per tutti, dove i contrasti sono spiazzati dai dati macroeconomici del Paese. Chi poteva immaginare che per sette anni di seguito ci fosse un ristagno dell’economia, arrivando fino alla recessione? Chi poteva immaginare che tutti i contratti di lavoro dovessero prevedere quello che nessuno ha mai pensato, cioè di poter restituire delle somme alle imprese? Siamo dentro una fase straordinaria e in questi casi ci si può muovere in due modi: o si fa il ragioniere, contabilizzando, come fa Confindustria, il dare e l’avere degli anni scorsi, oppure si parte dal fatto che bisogna cambiare sistema”.
“I contratti – prosegue Miceli – non sono solo la contabilizzazione dell’aumento dei prezzi, in questo caso della discesa dei prezzi: di sicuro, l’idea che riduceva il contratto nazionale alla semplice tutela del potere d’acquisto e che è valsa dagli anni ’70 ad oggi, è superata. Da Confindustria non ci vengono indicazioni utili, l’unica cosa certa è che non vuole rinnovare i contratti, e mi pare una cosa sbagliata, perché è una mossa non va né nel senso della coesione né in quello della solidarietà. Per quanto riguarda il contratto dei chimici, il 12 gennaio abbiamo avuto un incontro con le associazioni imprenditoriali, terminato con un sostanziale nulla di fatto. Allora, d’accordo con Cisl e Uil, abbiamo deciso di anticipare la piattaforma unitaria. Quello dei chimici è un contratto particolare, che in qualche modo misura lo stato di salute del sistema contrattuale italiano: quindi, se tra i chimici le cose non vanno, vuole dire che il problema è più grosso. Abbiamo riscontrato che di fronte alla comune volontà di provare a trovare una soluzione che tenesse insieme il tema dei recuperi inflazionistici o da deflazione, ciò che mancava era un sistema di regole condivise”.
“Il governo con la nuova legge sul mercato del lavoro – aggiunge il leader della Filctem –, la Confindustria con la moratoria contrattuale: ho l’impressione che sia cominciata la ‘caccia al cinghiale’, dove il cinghiale è il contratto nazionale di lavoro. Questo è il filo che muove una parte della classe dirigente del Paese, immaginando, tra l’altro, e sarebbe ridicolo anche solo raccontarlo, che in una fase di deflazione così spinta, nella quale si riducono anche i margini di manovrabilità, l’imputato di questa stagione possa essere il ccnl. Secondo me, è un’idea regressiva, che non si interroga sui grandi problemi che provocano la stagnazione dell’economia italiana, perché è vero che la crisi è europea, ma è anche vero che l’Italia, che è un paese industriale, soffre questa crisi in modo particolarmente acuto e non dovrebbe essere così”.
“Il sindacato, invece – continua Miceli –, punta proprio sui contratti nazionali di lavoro, come strumento per uscire dalla crisi. E tra i punti cardine delle piattaforme per i rinnovi contrattuali, per far sì che i lavoratori vivano la crisi in maniera meno drammatica, una cosa dovrebbe far parte della discussione: il fatto che non disponiamo di un accordo interconfederale che regoli la prossima stagione contrattuale dal punto di vista delle politiche retributive e del salario. Abbiamo alle spalle il Protocollo del ’93, l’accordo separato del 2009 è scaduto e quindi bisognerebbe attrezzarsi per costruirne uno nuovo, con tutte le difficoltà della questione e anche le resistenze che Confindustria oppone. La mancanza di un’intesa con Confindustria sarà uno dei problemi che segnerà la prossima stagione contrattuale, e ovviamente avrà ripercussioni negative per le sue logiche conseguenze”.
“Insieme a questo – conclude il segretario generale –, c’è il grande problema derivante dalla pretesa delle aziende di immaginare come una legge dello Stato, cioè il Jobs act, possa vivere senza i contratti collettivi nazionali di lavoro. Quella legge ha diviso il Paese e quindi non credo che verrà messa la nostra firma sulle norme che la riguardano. Serena Sorrentino ha detto che il Jobs act verrà combattuto proprio attraverso la contrattazione. Ed è assolutamente vero. Noi riteniamo che i contratti di lavoro debbano essere lo strumento per erigere un argine nei confronti del Jobs act, sapendo che poi è una legge dello Stato, ma non è un insieme di norme che vede le forze sociali concordi. Quando Renzi ha immaginato di colpire direttamente il sindacato e di dividerlo dalle imprese, spero che almeno sapesse che poi alla fine la vicenda non si sarebbe conclusa con un voto in Parlamento. Questa storia continuerà attraverso i contratti di lavoro, attraverso il ricorso alla giurisdizione per quanto riguarda quelle palesi incongruità del Jobs act, che non fanno apparire tutti i lavoratori uguali di fronte alla legge”.
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