(Agenparl) – Roma, 13 mar 2017 – Come possono fare i cittadini a tutelarsi dagli aumenti dei medicinali imposti dalla farmacia al momento del pagamento se, sulla scatola del prodotto, che stanno acquistando il prezzo è inferiore di decine e decine di centesimi rispetto a quello dello scontrino fiscale? Nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di farmaci di fascia C con obbligo di ricetta, gli integratori e i farmaci di automedicazione per i quali, il Sistema saniatario nazionale non prevede la convenzione. Ossia come si suol dire “non passa”.
A giudizio di alcuni consumatori, e soprattutto di alcuni malati, sovrapprezzare i farmaci già in magazzino potrebbe essere considerato reato. Tant’è che in tempi di crisi questa modalità di azione è prassi. (abbiamo pubblicato una foto che mostra una disparità, ma ne possediamo altre.
Su questo argomento andiamo a chiederne conto all’Adusbef, associazione di consumatori. “E’ la solita storia. L’abbiamo già denunciata una quindicina di anni fa. Per risolvere problemi di questo genere si deve ricorrere ad azioni di classe. Ma in Italia non è possibile – taglia corto il presidente di Adusbef, Elio Lannutti -. La legge presentata dal deputato Alfonso Bonafede e passata alla Camera è da tempo ferma al Senato. Mi prendo le mie responsabilità nel dire che sopra c’è il veto di Confindustria”. Questo per dire che nessun cittadino va all’autorità giudiziaria o al posto di polizia più vicino e perde mezza giornata per presentare un esposto per rivendicare i 50 centesimi pagati in più. “Infatti serve solo un’azione di classe e si piuò chiedere il risarcimento”.
Abbiamo chiesto una replica a Federfarma Roma sull’argomento. Abbiamo scelto il sindacato provinciale di farmacisti della capitale semplicemente perché quello che da alcuni è considerato un sopruso è accaduto a Roma nei giorni scorsi.