I farmaci generici sono una grande opportunità perché consentono cure efficaci a un costo inferiore. E hanno anche l’effetto collaterale – per nulla indesiderato – di determinare, come insegna la legge della concorrenza, la riduzione dei costi dei farmaci brended, cioè di marca. Però… Se è vero che un farmaco equivalente – generico, come viene chiamato più spesso – deve avere la stessa composizione qualitativa e quantitativa del farmaco originale (o, più precisamente, generatore), identica forma farmaceutica e uguali indicazioni, è vero anche che, invece, la bioequivalenza deve essere solo simile. Il che significa che gli eccipienti – le sostanze aggiunte al principio attivo per assicurarne compattezza, dissolubilità, stabilità – possono variare.
Particolare non marginale: perché eccipienti diversi potrebbero significare, per esempio, tempi di rilascio differenti nell’organismo (se cambiano i polimeri), una dissoluzione più lenta o incompleta (se sono i leganti, i disgreganti o i tensioattivi a cambiare), una tollerabilità inferiore (per alcuni soggetti non è ininfluente se per edulcorare il prodotto viene usato l’aspartame al posto dello zucchero).
Di tutto ciò è consapevole anche l’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco, che in un articolo pubblicato sul suo bollettino bimestrale (il numero 3 del 2008) scrive testualmente: «Un aspetto importante della valutazione della qualità del medicinale è la verifica della formulazione dal punto di vista degli eccipienti.
Infatti, la differente composizione in eccipienti tra medicinale equivalente e di riferimento, pur essendo prevista dalla normativa, può implicare potenziali differenze in termini di efficacia e sicurezza». Per esempio, prosegue la pubblicazione dell’Aifa, «nel caso di forme farmaceutiche orali solide, gli eccipienti possono influenzare anche significativamente la dissoluzione e quindi la biodisponibilità del medicinale, in particolare per le forme a rilascio modificato».
E nella pagina successiva, nell’ennesimo articolo del numero monografico dedicato ai generici, si legge che «due medicinali bioequivalenti possono presentare differenze per la loro composizione in eccipienti con possibili ripercussioni in determinate categorie di pazienti. La presenza di glucosio – prose gue l’estensore dell’articolo – può avere ripercussioni in pazienti diabetici, la presenza di amido in grano in soggetti affetti da celiachia, la presenza di aspartame in pazienti affetti da fenilchetonuria». Segue l’invito a mettere tutto bene in evidenza nel bugiardino.
La scoperta dell’acqua calda è che equivalente non vuol dire identico, sebbene molti siano convinti di sì. Alcune molecole – i principi attivi che ci hanno abituato a chiedere al farmacista l’acido acetilsalicilico invece dell’Aspirina, l’ibuprofene ipiuttosto del Moment, il paracetamolo al posto della Tachipirina – vantano fino a una quarantina di equivalenti. Farmaci che l’attuale normativa italiana incentiva parecchio: dopo la scadenza del brevetto, il Servizio Sanitario Nazionale rimborsa al farmacista il prezzo del generico e non quello del prodotto di marca, con il risultato che – se il medico di base non esprime chiaramente in ricetta la non sostituibilità del prodotto – il paziente dovrà accollarsi la parte eccedente della spesa.
Nel caso la prescrizione r