Secondo il rapporto dell’Osservatorio Farmaci di Cergas Bocconi sul posizionamento dell’industria italiana del farmaco, rispetto a Germania, Uk, Spagna e Francia, la produzione nazionale dopo un decennio (1990-2000) di crescita allineata agli altri Paesi, registra un trend inferiore fino a raggiungere un differenziale di -1,4% tra il 2005 e il 2007. Crescita del fatturato e produzione netta sono trainate principalmente dall’export che ne rappresenta l’84%. L’occupazione è in calo del 7% a fronte del 2,9% degli altri Paesi tra il 2006 e il 2007. Commenta il Presidente di Farmindustria Sergio Dompé: "C’è la necessità di regole certe. Le imprese si stanno internazionalizzando e hanno bisogno di condizioni di investimento pari a quelle che offrono gli altri Paesi".
Il Sole 24 Ore Pag.5 – 18/10/2009
Non basterà più la leva dell’export a sostenere i bilanci della farmaceutica made in Italy. In sofferenza per la redditività globale, con la produttività che arretra, alle prese col più alto calo dell’occupazione rispetto ai principali partner europei,l’industria del farmaco in Italia continua a perdere terreno. E senza una sterzata di politica industriale, il futuro è segnato: nel brevemedio termine il settore non potrà più reggere l’onda d’urto di «nuove misure di contenimento della spesa (con impatto sui ricavi), attraverso un ulteriore incremento dell’efficienza sui costi». I margini di recupero di efficienza interna delle farmaceutiche, insomma, sono quasi esauriti. E il futuro, a quel punto, è una strada senza vie d’uscita.
Non è esattamente un oroscopo favorevole quello che emerge dal rapporto dell’Osservatorio farmaci del Cergas Bocconi, curato da Claudio Jommi e Patrizio Armeni, sul posizionamento della farmaceutica italiana rispetto agli altri quattro grandi mercati della Ue (l’Italia è terza) di Germania, Francia, Uk e Spagna. Per Big Pharma – cui le stime di Ims Health danno a livello mondiale nel 2010 una crescita del 4-6% soprattutto per i risultati anche a doppia cifra nei mercati emergenti (Cina, India, Russia, Brasile, Messico e Corea del Sud) – quello italiano si conferma un terreno scivoloso e pieno di insidie. Dall’analisi Cergas Bocconi emerge che dopo un decennio (1990-2000) di crescita allineata agli altri partner, dal 2000 in poi la produzione di settore in Italia ha subito un significativo rallentamento, ben al di sotto del trend dei principali Paesi Ue.Fino a raggiungere dal 2005 al 2007 un differenziale negativo dell’ 1,4 per cento. E questo mentre la crescita del fatturato e della produzione netta sono state (non solo in Italia) principalmente il frutto del boom dell’export, che dal 2001 al 2007 «ha spiegato» l’84% della crescita della produzione netta (solo +16% il mercato interno) e il 53% della produzione totale. Un risultato che testimonia «la capacità delle imprese di essere competitive sui mercati internazionali », ma che insieme dimostra come i margini di sviluppo ancora fondati sull’export vanno «via via assottigliandosi».
Altro cattivo segnale è dato dal calo dell’occupazione, che ha invertito il trend segnando nel 2006-2007 un calo del 7%, a fronte del -2,9% degli altri quattro big europei. Tutto ciò, poi, mentre la redditività globale del settore dal 2001 in Italia è sottoposta a «un’erosione sistematica». Il Roic ( overall return on invested capital), che misura la capacità dell’impresa di far fruttare il capitale investito, ha fatto segnare per le imprese in Italia un netto peggioramento, anche oltre il 6% rispetto al valore medio di Francia, Spagna e Uk.
L’analisi del Cergas Bocconi non ha colto di sorpresa le imprese. Che,a dispetto dell’andamento anticiclico del settore ai tempi della crisi, la